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Ma Beirut non è Gaza

I missili di Teheran non cambiano di molto la scena

by Luigi Gravagnuolo
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La pioggia di ordigni lanciata ieri da Teheran su Tel Aviv, peraltro neutralizzata dalle strabilianti difese terra-aria di Israele, non cambia di molto la scena. Che è già – e lo era anche l’altro ieri – di guerra regionale. Ormai sia Israele che l’Iran cercano la ‘soluzione finale’, la distruzione dell’avversario. Nella speranza di aprire così una stagione di pace alle loro rispettive condizioni.

Al momento Israele pare più vicina all’obiettivo che non i clerico-fondamentalisti iraniani. La galassia kameneinista sembra caduta in una spirale che sa tanto di trappola. Israele attacca, segna colpi a suo vantaggio, provoca e i pasdaran si trovano obbligati a rispondere, pur non essendo militarmente in grado di fronteggiare il nemico. Hanno talmente alimentato negli anni l’ideologia del martirio e dell’odio cieco verso Israele che ora ogni ragionevole prudenza viene vissuta tra la loro gente come tradimento.

Anche i ‘fronti interni’ stanno reagendo in modo diseguale. Mentre quello israeliano, tanto tormentato nei mesi scorsi, si sta compattando, quello sciita, nel Libano in particolare, si sta sfaldando. Mentre tiene – ed è davvero stupefacente – quello di Gaza.

Aveva annunciato una maledizione urbi et orbi Yhaya Sinwar, un proclama-appello al mondo islamico, si suppone. Non se n’è saputo più niente per ora. Chissà se è vivo.

Vivo o non vivo Sinwar, l’impressione è che la battaglia di Gaza si sia conclusa di fatto con l’annullamento delle capacità militari di Hamas. Pur se non è detta l’ultima parola. Gli ostaggi sopravvissuti – quanti? – sono ancora nelle mani dell’organizzazione palestinese, che dunque qualche forza deve ancora averla.

Israele intanto ha spostato la gran parte dei suoi blindati e dell’aviazione sul fronte Nord, dove da un paio di settimane Hezbollah, allo scopo di alleggerire la pressione su Gaza, aveva cominciato a bombardare quotidianamente e senza sosta. La risposta di Israele è stata di terrificante efficacia. In una manciata di giorni, facendo ricorso anche alle più sofisticate tecniche della cyberwar, ha eliminato tutti i capi politici e militari dell’organizzazione sciita, compreso il suo leader supremo Hassan Nasrallah. Ed ora, mentre scriviamo, l’IDF sta entrando via terra in Libano.

Diciamocela tutta, Hezbollah ha subìto la decisione di Hamas di organizzare e mettere in atto la strage del 7 ottobre. Decisione mai concordata previamente. Quando, nelle ore successive a quell’esibizione di ferocia umana, Isamil Haniyeh, allora capo politico di Hamas, fece appello al mondo arabo musulmano, a Hezbollah su tutti, affinché si unisse ad Hamas e scatenasse l’inferno contro Israele, fu proprio Nasrallah a gettare acqua sul fuoco. ‘Calma, noi non siamo preparati, non siamo pronti al martirio per seguire Hamas in quest’avventura; verrà il momento in cui entreremo in guerra, ma quel momento lo decideremo noi, non Haniyeh o Sinwar’. Questo grosso modo il senso delle sue prime parole dopo il 7 ottobre.

Poi la tenace resistenza di Hamas, l’entrata in guerra degli Houthi dello Yemen, i propositi di vendetta dell’Iran, le ambigue promesse di sostegno dei Russi e dei Cinesi, soprattutto la spinta di base degli sciiti del Libano da lui rappresentati, hanno indotto Nasrallah ad aprire il fronte contro Israele. Doveva decidere se stare a guardare il massacro dei Hamas e dei civili di Gaza, o se portare guerra al comune, odiato nemico. Per quanto grande fosse il suo carisma, i suoi non gli avrebbero perdonato la vigliacca inerzia. Così ha aperto il fronte, con le conseguenze che sono sotto gli occhi di tutto il mondo. Una catastrofe!

Vale la pena a questo punto di analizzare il diverso contesto in Gaza e in Libano. I Gazesi da venti anni sopportano la tirannia di Hamas, spietata verso i propri oppositori palestinesi quanto lo è con gli Israeliani. Ha ragione chi dice che Gaza era una prigione all’aperto, ma i carcerieri erano quelli di Hamas, prima e più che gli Israeliani. Ha fatto anche di più Hamas, e di più criminale che non esercitare una dittatura. Ha collocato i suoi arsenali e i suoi uomini nelle scuole, negli ospedali, nei condomini civili, addirittura anche nelle sedi dell’Unrwa. L’intero popolo gazese è stato preso in ostaggio, pagando un costo altissimo di vittime civili. Ma finora, nonostante la palese sconfitta militare e le catastrofiche conseguenze di queste scelte, il popolo di Gaza non ha rinnegato Hamas. Non ci sono segnali di ribellione, di insofferenza, di abbandono di Hamas al suo destino.

Israele dovrebbe interrogarsi. Cos’ha fatto per scatenare tanto odio contro se stessa, al punto che un intero popolo preferisce il martirio alla resa?

Quando gli alleati sbarcarono in Sicilia, poi a Salerno, e fu chiaro a tutti gli Italiani che il fascismo aveva portato la patria in una guerra suicida al fianco di Hitler, ci furono le Quattro Giornate di Napoli, la Resistenza Romana, la Guerra Partigiana nel Centro-Nord. I nazisti tedeschi, e a quel punto anche i fascisti, furono percepiti come un corpo estraneo sul suolo italiano. A Gaza non è così. Meglio sotto il tallone di ferro di Hamas che subalterni a Tel Aviv, si dicono i Gazesi.

In Libano non è così. Il paese dei cedri è abitato da una mescolanza non riuscita di diverse etnie, mai amalgamatesi. Gli sciiti di Hezbollah, i Cristiano-maroniti, i Sunniti, i Drusi, gli Armeni, i Curdi. Tutti insieme da anni non riescono ad eleggere un Capo dello Stato e il Capo del Governo, il miliardario Najīb Mīqātī, rappresenta poco più che se stesso.

Ora Hezbollah accusa il Governo e gli altri Libanesi di tradimento per essere stato lasciato solo. Ma i Libanesi non sono tutti disposti a subire le sue scelte.

Il leader del partito maronita Forze libanesi, Samir Geagea, ha chiesto: “Qualcuno può spiegarmi cosa ha impedito finora al presidente del Parlamento, Nabih Berri, di convocare d’urgenza l’aula per discutere della tragedia che il popolo libanese sta vivendo in questo momento?”. Per poi aggiungere: “Non è ammissibile che il popolo libanese continui a soffrire. Le difficili crisi finanziarie, economiche e sociali non sono un fardello abbastanza pesante per aggiungere una guerra contro la quale avevamo messo in guardia in diverse occasioni?”.

A sua volta, il movimento di opposizione Rinnovamento si è rivolto a Hezbollah: “Quando è troppo è troppo. Basta con il gioco d’azzardo e l’incoscienza, basta con gli slogan distruttivi e le accuse di tradimento, perché solo lo Stato ci protegge tutti e il vero eroismo non consiste nel condurci al suicidio collettivo, ma nel riconoscere i nostri errori e correggerli”.

Ibrahim Mrad, presidente dell’Unione Siriaca libanese è stato più esplicito: “La milizia di Hassan Nasrallah è responsabile dell’assassinio del popolo libanese, la maggioranza del popolo libanese rifiuta la presenza delle milizie di Hezbollah e sta pagando il prezzo della distruzione del Libano e dell’assassinio del suo popolo a beneficio dell’Iran, che lo ha venduto sul mercato degli schiavi”.

Anche alcuni membri della comunità sciita si sono espressi contro Hezbollah. Tra questi, il fondatore del movimento Taharror, Ali Khalifé, che ha dichiarato all’italiana Agenzia Nova che “Hezbollah sta seminando distruzione, portando con sé quattro milioni di libanesi. Una parte dell’ambiente sciita, sottoposto al lavaggio del cervello di Hezbollah, vive nella negazione e considera la sconfitta come una vittoria e l’umiliazione come orgoglio e dignità”.

Ancora, il leader del partito maronita Kataeb, Sami Gemayel, ha ammonito Hezbollah, “che ha aperto il fronte di sostegno a Gaza a fermarsi senza indugio. Nessun partito o individuo ha il diritto di trascinare il Libano in una guerra!”

È in questo contesto che Israele ha giustiziato tutto il gruppo dirigente di Hezbollah. Decapitandolo.