Non sono un economista e ragiono col buon senso, che forse è anche l’approccio giusto per cercare di capirci qualcosa su coronabond, sure, recovery bond, eurobond ed altre sigle sulle quali il governo italiano pare sia ormai scivolato sull’orlo di una crisi di nervi. Al punto che l’impressione netta è che esso si tenga insieme solo per l’emergenza da pandemia (e per la voglia di completare la definizione in corso degli assetti del public management).
Ma vediamo di cosa stiamo parlando. Prima che scoppiasse l’epidemia il nostro Stato aveva debiti per circa 2.500 miliardi di euro, equivalente al 133% del Pil, che ammonta a poco meno di 1.900 miliardi di euro. Vale a dire che, se decidessimo per assurdo di lavorare tutti per un anno senza ricevere alcuna retribuzione e regalassimo tutto il nostro lavoro allo Stato, neanche ce la faremmo a toglierci i debiti. Ma chi ci ha prestato questi 2.500 miliardi? Circa 850 miliardi le banche e le istituzioni europee; il resto fondi e stati extraeuropei e soprattutto risparmiatori privati italiani o stranieri.
Lo Stato italiano da oltre un trentennio non riesce a restituire alle istituzioni europee ed agli altri creditori i soldi presi in prestito. Per farlo dovrebbe o tagliare le spese, cioè i servizi ai cittadini, o aumentare le entrate, cioè le tasse. Sia l’una che l’altra strada sono garanzia certa di perdita dei consensi per chi governa; quindi non si procede, o, se lo si fa, lo si fa con tanta prudenza che non se ne viene fuori. È comprensibile che in giro nel mondo oggi ci sia riluttanza a prestare soldi allo Stato italiano.
Qualcuno vi vede complotti ed accanimento, evidenziando come i debiti della Francia o della Germania, per restare in Europa, siano altrettanto rilevanti. La Germania ne ha infatti per 2.400 miliardi, la Francia per 2.900. Però il Pil della Germania supera i 4.000 miliardi di euro, più del doppio del nostro, ed il suo debito è solo il 62% del Pil. La Francia ha un Pil di circa 3.000 miliardi ed un debito al 98% del Pil. I due Paesi, in relazione alle loro ricchezze, sono meno indebitati dell’Italia.
Ma veniamo alla pandemia, che ha fatto sballare tutti i conti.
Per fronteggiarla all’Italia servono molti miliardi aggiuntivi a quelli già avuti in prestito. Secondo Prometeia non meno di 85 miliardi. Intorno alla stessa cifra si attestano anche le stime di Bankitalia e di Cottarelli, per altri il nostro fabbisogno arriverebbe fino a 400 miliardi. Ovviamente non li possiamo chiedere alla Grecia o ad altri Stati più inguaiati di noi. Anche la Francia, come si è visto, ha margini molto stretti. Chi potrebbe prestarceli sono la Germania, la Danimarca, la Svezia, l’Olanda ed altri Paesi ricchi e col rapporto debito/Pil sul 50%. A loro quindi noi chiediamo che ci prestino soldi, o che si facciano nostri garanti presso la Banca Centrale Europea. È del tutto ovvio che questi Paesi, per concederci ulteriori prestiti, esigano di controllare e di gestire direttamente le nostre finanze a garanzia della restituzione del debito. Nessuno è più disposto a prestarci soldi al buio.
Ma la pandemia non ce la siamo cercata e non è un fatto italiano, riguarda tutta l’Europa. Mentre per il debito già in essere è plausibile una censura del nostro operato, in quanto incapaci di vivere nel recinto delle nostre possibilità, per i soldi che ci servono a fini sanitari o per evitare il tracollo economico-produttivo e finanziario non siamo assolutamente censurabili. Per questo noi chiediamo di distinguere i vecchi debiti, per i quali affermiamo di essere pronti a rispettare gli impegni pregressi, dai nuovi debiti, quelli da pandemia, per i quali chiediamo che vengano contratti non dall’Italia e dai singoli Paesi, ma dalla UE in quanto tale.
Giovedì prossimo, 23 aprile, si riunirà il Consiglio d’Europa. Se fosse accettata la nostra tesi, sarebbe un bel giorno per l’Unione, che per la prima volta agirebbe da Stato federale, non da coordinamento di Stati sovrani confederati.
Ma il M5S storce il muso e Salvini e la Meloni non ci stanno. Se l’Unione in quanto tale contrae un debito, dovrà anch’essa poi restituirlo e il modo per farlo potrebbe essere di introdurre una tassa europea. In questo caso metterebbe le mani nei sistemi fiscali dei singoli Stati. Apriti cielo, la nostra sacra sovranità nazionale verrebbe violata.
Le alternative? Due, o chiedere il prestito alla Cina, alla Russia, ai Paesi arabi e agli U.S.A., o fare da noi. Nel primo caso, pagheremmo interessi spaventosi e alla fine, invece di finire commissariati dall’UE, lo saremmo dalle potenze citate. Non se ne vede il vantaggio.
Resterebbe il fai-da-te. Gli Italiani vantano proprietà immobiliari e depositi privati, nelle banche o nelle poste, per un valore di diecimila miliardi. Potremmo dunque far fronte al debito prelevandone il corrispettivo dai nostri risparmi. O con una patrimoniale, o attraverso prestiti forzosi a dieci o a trent’anni. Nel caso del prestito forzoso noi cittadini saremmo obbligati a prestare soldi allo Stato, che ce li restituirebbe a babbo morto. Per non scatenare una rivolta lo Stato dovrebbe però garantirci interessi molto importanti. Quindi la via ‘italiana’ alla quietanza del debito sarebbe più dolorosa, nel caso della patrimoniale; nel caso del prestito forzoso più costosa rispetto all’accettazione del prestito europeo.
Se ognuno di noi ci ragionasse su, la scelta sarebbe scontata. Ma le cose in politica non funzionano così e ci stiamo incartando.