Venerdì scorso, a Palazzo Reale nella sede della Fondazione Premio Napoli, è stato presentato il docufilm di Ilaria Urbani Luci sulla frontiera. Alla proiezione hanno fatto seguito gli interventi del presidente del Premio Napoli, Domenico Ciruzzi. Di Ruggero Sintoni, che dirige una rete di teatri in Romagna. Di Lorenzo Cioffi, produttore del film, e della stessa Ilaria Urbani, che ha tenuto le fila della discussione. Presenza straordinaria quella di uno dei personaggi del film: padre Domenico Pizzuti, uno dei cinque sacerdoti protagonisti del documentario.
Luci sulla frontiera “illumina” alcune zone di periferia napoletana dove si svolge l’opera di preti di strada. Don Franco Esposito, che lavora con i detenuti e le loro famiglie nel carcere di Poggioreale. Don Antonio Loffredo, che, attraverso iniziative culturali di teatro e riscoperta dei beni del territorio, cerca di far intravedere un futuro diverso ai giovani del quartiere Sanità. Don Gaetano Romano, che si preoccupa di far studiare i più piccoli di San Giovanni a Teduccio, ex quartiere operaio, avvalendosi della collaborazione di Carmela Manco, preziosa operatrice del centro l’Oasi a via Ferrante Imparato. Don Felix Ngolo, congolese, che si occupa dei ragazzi della baraccopoli ai margini di Pozzuoli, coinvolgendoli con il suo entusiasmo e il suo sfegatato tifo per il Napoli. Padre Domenico Pizzuti che ha operato ed è ancora attivo, nonostante l’età, nei campi rom di Scampia. La voce narrante che raccorda le storie è di Roberto Saviano.
Preti di frontiera. E’ l’immagine che più ci affascina quando pensiamo ad una Chiesa attiva, fuori dai palazzi Vaticani. Quella che oggi è impersonata da Papa Francesco ma che ha nel nostro immaginario tanti riferimenti. A partire da padre Cristoforo di manzoniana memoria, che operava nella frontiera del lazzaretto. O don Bosco o, per arrivare ai nostri tempi, don Ciotti. Gli esempi potrebbero essere davvero tanti. Perché la frontiera, intesa come zona di confine di uno Stato, dove termina la sua sovranità, luogo in cui si esercita con grande difficoltà il controllo e dove inevitabilmente vengono cacciati gli ultimi, può ben attribuirsi ai luoghi citati nel documentario.
Ma Luci sulla frontiera non ha solo l’intento di illuminare, alla nostra vista di spettatori, luoghi baricentrici. Quanto piuttosto di farci capire come la frontiera non sia solo il buio del malaffare. Della camorra, del narcotraffico o della prostituzione. Ma sia la cenere dei valori istituzionali, sotto cui cova il fuoco della socialità, della legalità e della speranza di potercela fare.
Ilaria Urbani nel 2016 ha scritto e diretto una serie tv sui preti di strada, in onda su Tv2000, alla quale si ispira questo suo film documentario. Nell’intervento di presentazione, ha espresso tutta l’esigenza, direi l’urgenza, di raccontare la complessità delle periferie in cui la Chiesa diventa il luogo della controcultura, luogo di osmosi con la comunità.
Lorenzo Cioffi, produttore del film con la sua Ladoc, pur sottolineando la sua visione laica della realtà, ha evidenziato il fascino del testo della Urbani dal quale è nato il film. La forza del docu-film sta nella qualità della relazione tra regista e protagonisti, per cui questi hanno saputo raccontarsi al meglio. Contribuendo alla denuncia dei limiti, dei pericoli e dei mali della frontiera, alla luce di una individuale varietà culturale che è un prezioso valore aggiunto alla narrazione.
Uno sguardo sull’illegalità non voluta, ma subita. Che ti entra dentro senza che nemmeno te ne accorgi, quando si avvicina lo spettro della povertà. Docu-film che il produttore teatrale Ruggero Sintoni ha voluto alla rassegna Il cinema della verità di Faenza.
Richiamare l’attenzione sulla frontiera, dove peraltro operano anche numerose associazioni di volontariato laico e dove attività di teatro, studio, recupero della dignità del territorio e del senso di appartenenza ad esso, fioriscono e si sviluppano, è meritorio. Soprattutto per chi spesso non conosce nulla di queste realtà. Che le vede distrattamente, senza esserne coinvolto.
L’immagine della locandina del film mi sembra particolarmente efficace nel racchiudere il messaggio. Un bambino che, steso su di un prato, forse un campetto di periferia, guarda verso il cielo. Dove possono schiudersi nuovi orizzonti.