Siamo in pieno Tempo d’Estate. Tempo di sole e di mare…
E allora ce ne andiamo al Porto di Marina di Stabia – Porto di Pompei, dalla cui banchina ci troviamo “a un tiro di schioppo” da un grumo pietroso che testardamente sfida il mare, a poca distanza dalla costa Torrese-Stabiese. Là dove essa è sabbiosa – di sabbia nera vulcanica, decantata per le sabbiature – e si si snoda diritta, interrotta soltanto dalla foce a mare del Fiume Sarno.
Nel caso del Fiume Sarno non è prolisso indicare la “foce a mare” in quanto esso ha – incredibilmente, per chi non lo sappia già – una propria “foce” anche nell’entroterra. Essa è a una quindicina di chilometri dalla costa, sui versanti collinari dell’antica Sarno, dove la sua sorgente sgorga, fredda e impetuosa, in località Foce, che pare derivi dal latino “fauces”, cioè bocche.
E infatti la sorgente del Sarno è costituita da più bocche, le quali hanno determinato e alimentato la sua rete idrografica, che attraversa in più direzioni e ripetutamente la Valle del Sarno. Non a caso già Virgilio, riferendosi a Sarno, ne ricordava le “aèquora”, cioè le acque, plurime e diffuse in tutta la valle, fino all’antica Pompei, la quale – già in epoca preromana – era dissetata e irrigata dalle sue acque tranquille.
L’isolotto pietroso verso cui ci dirigiamo, partendo da Marina di Stabia-Porto di Pompei, perde a volte qualche pezzo, prima eroso e poi stroncato dalle onde di qualche burrasca, non è altro che l’Isolotto di Rovigliano. Forse più noto come Scoglio di Rovigliano ut sic, esso fa la guardia alla foce del fiume Sarno da sempre e funzionava da approdo della vicina Pompei già al tempo dei Fenici, i quali intorno all’anno Mille avanti Cristo già attraccavano al largo delle nostre coste per esercitare i loro commerci.
Ebbene, sia il nome di Scoglio di Rovigliano che quello di Isolotto di Rovigliano, che compare in alcune carte nautiche, non gli rendono piena giustizia. Quel grumo di rocce anticamente già antropizzato è quasi un arcipelago microscopico, distribuito su un tratto di mare di circa seimila metri quadrati. Esso presenta alcuni corpi rocciosi calcarei alti e grossi emergenti dal mare, ma anche strutture murarie eseguite dall’uomo in antico, già in epoca preromana e poi, nei secoli successivi a più riprese.
Si tratta insomma di un micro-insediamento marittimo distribuito su alcuni scogli rocciosi, collegati in antico da strutture murarie, poi crollate sotto i colpi del mare in tempesta.
Sullo scoglio più grande si leggono chiaramente i resti – sempre più spettrali ormai – di una Torre vicereale e di quanto resta oggi delle antiche architetture ad essa connesse.
A dimostrazione del fatto che le parole durano più delle pietre, abbiamo appreso dalla viva voce di un esperto che lo scoglio che guarda al versante di Castellammare si chiama, non a caso, ‘O Scuoglio ‘e San Catiello. E, sul versante opposto, c’è ‘O Scartellato, in lingua italiana il gobbo, che guarda verso Torre Annunziata.
Verso il mare aperto, invece, affiorano ‘e ccarusèlle. E in questo caso l’espressione dialettale è quasi affettuosa. Essa indica alcune rocce appena affioranti con le proprie parti sommitali, le quali quindi mostrano soltanto il loro “caruso”, cioè la loro testa pelata. Come teste di bambine che fanno capolino, esse appaiono fuori dall’acqua quando il mare si agita. Da qui: ‘e ccarusèlle.
Lo Scoglio di Rovigliano ha sempre svolto il ruolo di sentinella della Foce del Sarno, o meglio, del Sinus Stabianus, diventato poi definitivamente Sinus Pompeianus, dopo la distruzione di Stabia nell’anno 89 a.C., ma alla fine entrambi cancellati della immane eruzione pliniana del 79 d.C.
Prima di quel tragico giorno l’antica Pompei era stata la struttura portuale dei commerci campani provenienti dall’area nolana e atellana. Quella struttura portuale lagunare, secondo recenti approfondimenti archeologici, era disposta su più approdi fluviomarini, perché la laguna retrodunale si sviluppava da Ovest a Est della antica Pompei, prevalentemente verso la non lontana area stabiana.
Invece le saline della costa pompeiana erano ubicate lungo la direttrice costiera che portava da Pompei e Oplontis, detta poi in epoca romana Via Herculea, ma già frequentata quando Pompei in lingua Osca si chiamava PUMPAIA e dominava la laguna con le sue case e i suoi templi imponenti e arroccati in alto sul pianoro di roccia vulcanica, dove il Sarno arrivava con le sue acque plurime, in questo caso regimentate in un canale/acquedotto protostorico.
Le saline pompeiane, dedicate poi a Ercole, diedero il nome allo Scoglio di Rovigliano, che fu chiamato infatti Petra Herculis in onore del Dio, il quale – tra mito e leggenda – si sarebbe fermato a Pompei, dopo le sue fatiche sicule.
Ma il nome Rovigliano sarebbe definitivamente toccato al sito, quindi anche allo scoglio, dopo che la ricca e potente famiglia pompeiana della Gens Rubellia – facoltosi agrari – ne divenne proprietaria. I Rubellii – proprietari del vasto a vario “fundus Rubellianus” – hanno quindi impresso il nome all’isolotto, che fu la “Insula Rubelliana” prima di divenire l’Isolotto di Rovigliano. In questo caso il nesso linguistico tra le due parole – Rubelliano e Rovigliano – è forte e trasparente.
Nei secoli successivi, la struttura costruita esistente sullo Scoglio fu un cenobio Benedettino e anche un Monastero di S. Michele Arcangelo, frequentato dal pensatore calabrese Gioacchino da Fiore, monaco e beato. E, infine, lo scoglio svolse anche la funzione di approdo a mare della Abbazia di Real Valle di Scafati.
Ma – per la sua singolare posizione strategica – in epoca vicereale fu tra le Torri Costiere più importanti della rete difensiva del Regno di Napoli. Seguì poi un lungo abbandono durato fino al 1700, secolo in cui le strutture dello Scoglio furono restaurate per volere del Re Don Carlos di Borbone, il futuro Carlo III.
La successiva destinazione dello Scoglio a Caserma e Prigione durò fino alla seconda metà dell’Ottocento, quando lo Stato Savoiardo postunitario, indebitato fino al collo, lo cedette a privati, inaugurando la stagione delle “svendite”, giunta fino ai giorni nostri sotto forma di “cartolarizzazione”. Oggi dunque lo scoglio, struttura monumentale di particolare interesse storico e paesaggistico, riconosciuto nel corso del Novecento Bene Culturale, è in mano privata, pluripartecipata, per effetti ereditari.
Chiudiamo questo articolo con l’auspicio che il Ministero della Cultura lo inserisca nella lista dei monumenti da acquisire al pubblico demanio.
E ciò, soprattutto nell’interesse della Collettività.