Seconda parte della relazione del prof. Pietro Spirito al convegno “Le infrastrutture di trasporto: inventare il futuro”, organizzato a Roma dalla Fondazione Astrid.
2. L’attrazione degli investimenti industriali nel Mezzogiorno e le zone economiche sociali.
La proiezione mediterranea della portualità italiana resta una opzione sinora inespressa, mentre la sponda del Nord Africa sarà certamente uno dei teatri politici ed economici di maggior significato nell’arco dei prossimi decenni. La novità più significativa, aggiunta nella fase conclusiva della redazione del PNRR, riguarda il rilancio delle zone economiche speciali (ZES).
Le zone economiche speciali, che hanno caratterizzato la stagione lunga della globalizzazione internazionale, sono state introdotte nell’ordinamento italiano nel 2017, con l’obiettivo di attrarre investimenti produttivi ponendo i porti meridionali al centro di questo disegno.
Sono state costituite per tale ragione otto ZES, con una normativa oggettivamente meno attrattiva rispetto alle altre esperienze mondiali. Sostanzialmente sono stati messi a disposizione incentivi per gli investimenti, mediante il meccanismo del credito di imposta, e regole per la semplificazione, inizialmente molto eteree. Ci sono voluti due anni per emanare i decreti di attuazione, e poi è arrivata la pandemia, che ha congelato tutto.
Il Governo di Mario Draghi, per iniziativa del Ministro Mara Carfagna, ha assunto, nell’ambito del Decreto Semplificazioni, l’opportuna iniziativa di varare l’autorizzazione unica per insediare nelle ZES nuovi stabilimenti industriali e logistici: rispetto alle 34 autorizzazioni necessarie si tratta di un rilevante passo in avanti per attrarre investimenti e rilanciare lo sviluppo. Lo strumento della conferenza unificata di servizio, gestita dal commissario della Zes, ha introdotto una positiva discontinuità.
Questo provvedimento si è affiancato ai 630 milioni di euro previsti per rafforzare l’armatura infrastrutturale delle ZES meridionali, portando a circa 4 miliardi il totale delle risorse stanziate per il sistema portuale italiano nel PNRR. Considerato il tempo molto limitato per la realizzazione degli investimenti del PNRR, è assolutamente vitale che si passi dalla fase di concezione a quella attuativa.
Lo strumento delle ZES, che sono oggi più di 5.500 nel mondo, costituisce una nuova chiave di politica industriale che ha rappresentato la formula di successo dei porti di Tanger Med in Marocco o Shenzhen in Cina. Anche qui, però, non si può pensare che le zone economiche speciali abbiano successo se il Paese non sarà in grado di intercettare le catene globali del valore nelle quali si articola l’economia mondiale.
Un solo dato potrebbe aiutare a riflettere: negli anni settanta del secolo passato operavano nel mondo circa 7.000 grandi aziende multinazionali. Ora questo numero è arrivato a superare quota 140.000: l’Italia, invece, continua ad essere caratterizzata da medie e piccole imprese, se si esclude qualche caso di aziende, che però – non casualmente – definiamo “multinazionali tascabili”.
La danza del cambiamento è guidata dalle catene globali del valore e dalle imprese di grande dimensione: gli altri soggetti economici sono sostanzialmente vassalli nella struttura delle catene globali del valore, possono riuscire al massimo a collocarsi in posizioni di maggior vantaggio lungo la struttura manifatturiera che genera i prodotti finiti.
Sinora il capitalismo, anche nella sua versione digitale, si è orientato, con la globalizzazione, verso strutture oligopolistiche di organizzazione del mercato, che restituiscono valore in modo robusto solo ai rami alti della catena del valore. Senza un riposizionamento economico del tessuto produttivo, nazionale e meridionale, sarà davvero molto difficile tornare a contare nel disegno della geopolitica internazionale, composta da poteri economici che strutturano i mercati, determinando una gerarchia sempre più piramidale.
Le zone economiche speciali potranno aver successo solo se saranno in grado di intercettare le traiettorie del modello manifatturiero che si è affermato su scala internazionale. Non basta disegnare, come pure è necessario, un pacchetto localizzativo attraente in termini di incentivi fiscali e di misure di semplificazione amministrativa. Serve attrarre soggetti imprenditoriali di dimensione globale che siano in grado di generare ricadute produttive sui territori in termini di filiera e di internazionalizzazione.
Come poi sempre accade in Italia, invece di attuare le riforme, o di migliorarle, si decide di azzerare i percorsi precedenti per ricominciare daccapo, perdendo per strada i concetti fondamentali che sono stati intanto concepiti, elaborati e decisi. Il Ministro Fitto ha deciso di trasformare l’intero Mezzogiorno in una unica Grande Zona Economica Speciale. In questo modo la centralità del sistema portuale meridionale in questo disegno si è completamente smarrito, e la localizzazione nelle aree portuali dei nuovi insediamenti manifatturieri diventa sempre meno probabile, determinando per questa via la conferma dello sdoppiamento (decoupling) tra nodi infrastrutturali e sistema produttivo.
Poiché è ragionevole immaginare che i costi delle aree di insediamento siano molto inferiori nelle aree interne, per questa via si trasferiranno alla logistica ed alla esternalità i costi di una politica industriale indifferenziata che viene confermata con l’attuazione della unica Zes meridionale.