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Liceo classico, ancora o non più?

by Francesca Pica
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Liceo classico? Neanche a parlarne. Liceo scientifico? Così così. Anche gli iscritti allo scientifico tradizionale si sono ridotti in favore dello scientifico-tecnologico una forma di scientifico ‘soft’, dove il latino viene sostituito da materie d’indirizzo.

Che succede nelle scelte dei ragazzi sulla scuola da frequentare e sul futuro da immaginare? Le cifre, pubblicate qualche giorno fa da Repubblica, parlano chiaro, chiarissimo: in poco più di dieci anni gli iscritti al liceo classico sono diventati la metà. Invece, tra gli istituti tecnici e professionali prendono piede percorsi e indirizzi che provano ad anticipare le richieste del mercato del lavoro dei prossimi anni. Dobbiamo accettare l’idea che il liceo classico non eserciti più il suo fascino sugli adolescenti italiani? In molti ritengono che il classico sia una istituzione anacronistica, paludata e noiosa, per niente in linea con i tempi attuali e lo percepiscono come un percorso di studi incomprensibili, distante dalla realtà che invece spinge a considerare la scuola sempre più in funzione della ricerca del lavoro. Eppure, la nostra Costituzione prevede che la scuola formi cittadini, non dei produttori o dei consumatori e nemmeno quadri per le imprese.

Tutto dipende da quale futuro abbiamo in mente, se ci sembra opportuno un percorso che da un liceo faticoso porti a una ampia scelta universitaria e a un futuro professionale in continua evoluzione o se privilegiamo un cammino più lineare che, fin dall’inizio valuti parametri e competenze per prospettive professionali immediate. Il fatto è che a tredici anni sono pochissimi a sapere bene cosa vogliono e cosa si aspettano dal futuro, infatti, la famiglia ha un peso non irrisorio nella scelta dei ragazzi. Se mamma e papà non vengono dal classico – lo dicono le statistiche – è improbabile che iscriveranno il figlio a quel liceo. Perché sfinirsi nello studio del latino e del greco, di Dante e della filosofia che tanto non servono? Dicono molti genitori. Meglio mettere a frutto gli anni delle scuole superiori con un diploma spendibile subito nel mondo del lavoro.

È senz’altro più impegnativo indirizzare un ragazzo ad investire il suo tempo su una formazione umanistica che lo porti all’approfondimento, al ragionamento, alla logica, che strutturi le fondamenta di quella che si chiamava “cultura generale” sulla quale innestare poi una conoscenza specialistica che sarà affrontata all’università. D’altro canto, in un mondo professionale mutevole come mai prima d’ora, legare le proprie competenze ad un ambito unico, senza esercitare le proprie facoltà all’evoluzione continua e alla capacità di riadattarsi a contesti che cambiano continuamente, è comunque, un rischio altissimo.

A questo punto è lecito chiedersi: chi ha ragione? Quelli che considerano il liceo classico il custode della saggezza e della bellezza antica, da cui tutti abbiamo moltissimo da trarre. O quanti ritengono che la scuola serva solo a trovare lavoro e che la società del futuro avrà più bisogno di tecnici all’avanguardia che di umanisti preparati su cose vecchie di duemila anni. La risposta non può che essere personale e in linea con il proprio passato scolastico. Ricordiamoci, però, che mandare in soffitta il liceo classico significa anche licenziare, col latino e il greco, un pezzo fondante della nostra storia e della cultura occidentale.