Foto by Dipartimento Protezione Civile
Ora che con la chiusura della bara si è archiviata l’esperienza terrena di Papa Francesco, ma non il suo insegnamento, forse è il caso di una riflessione più meditata sulla sua esperienza di maestro e pastore della Chiesa universale. A cominciare dagli stessi funerali “da Pastore e non da Sovrano” come ha puntigliosamente precisato una fonte vaticana. Un’esperienza pastorale che ha trasformato in “fatto politico” la tradizionale attività caritatevole della Chiesa, spesso melliflua e poco significativa. Esperienza pastorale che ha segnato il tratto più significativo e preminente della sua azione pastorale. Una carità che sollecitasse alla consapevolezza della propria condizione di marginalità e restituisse all’uomo povero, derelitto, emigro del mondo, la propria dignità di uomo, di figlio di Dio. Bergoglio è stato un papa atipico rispetto agli altri. La sua atipicità è la provenienza dai confini del mondo, dal sud del mondo, dalla povertà del mondo. L’incipit con il quale si è presentato ai fedeli radunati in piazza San Pietro, in attesa del verdetto del conclave, il celebre “Buona sera” ha segnato tutta l’attività pastorale del papa venuto “dalla fine del mondo”. Ci vollero 5 votazioni per la sua elezione a successore di Papa Benedetto XVI, rinunciatario del soglio, si argomenta per la mole grave e pesante dei problemi della Chiesa che gli erano piovuti sulle spalle, lui teologo e uomo di studi poco avvezzo al peso del governo quotidiano della grande comunità cristiana. La semplicità politica di Bergoglio è stato il tratto dei suoi viaggi in tutte le periferie del sud del mondo nelle quali ha dato forte testimonianza del suo amore per i poveri, i diseredati, gli immigrati. In data recente ha scritto una nota/pastorale ai vescovi statunitensi contro le politiche anti immigrati di Trump. Considerate le scelte politiche a dir poco lunatiche del nuovo Presidente americano e le pretese territoriali della Russia, la morte di Bergoglio toglie di scena la più equilibrata tra le autorità mondiali religiose, facendo venir meno la saggezza necessaria dei momenti di crisi diplomatica che rischia di precipitare il mondo sull’orlo di un grave conflitto. Bergoglio già aveva percepito e denunciato che in effetti un terzo conflitto mondiale è già in corso distribuito nella miriade di conflitti locali diffusi sul pianeta.
Tutti nel ripercorre il suo Pontificato hanno riconosciuto che è stato il Papa di chi non ha voce, degli ultimi del mondo, degli umili, dei poveri. Nulla di diverso rispetto al dovere pastorale proprio della Chiesa e dei Papi. L’originalità, eredità pesante, sta nel fatto che per la prima volta nella storia della Chiesa la carità non è più solo un atto che si “archivia” nella prassi della dottrina sociale della chiesa, ma atto politico. In fondo se si riflette, al di là di tutte le lodi per questo papa, oltre alla sua imprevedibilità, la vera subdola contestazione è l’aver dato dignità politica ad azioni che nel comune sentire sono comportamenti catalogati nella prassi della “Dottrina sociale della Chiesa”, ossia “anonime e generose”.
Il ritorno a Roma nel carcere negli ultimi giorni ha confermato, una volta di più, il carisma significativo del gesto d’amore di Bergoglio: Il Papa era in convalescenza, ancora malato, ma non ha voluto mancare a portare, con la visita, la sua consolazione ai carcerati, tra le opere di misericordia riconosciute dalla Chiesa, a chi, pur se ha sbagliato e ha un debito con la società, non può farsi mancare la compagnia e l’affetto in giorni dedicati alla famiglia. Un richiamo evidente ai cristiani, alla Chiesa, alle gerarchie che su iniziative così dirimenti mostrano lentezza e disaffezione; un richiamo per intendere che non valgono le convenzioni, le abitudini: al centro dell’interesse pastorale deve esserci la persona nella sua individualità e la progressiva costruzione della comunità dei fedeli che diventa luce del mondo, e che le opere di misericordia non sono un nostalgico ricordo dei tempi andati. L’assillo costante di papa Francesco, soprattutto negli ultimi tempi del suo pontificato è stato la fine delle guerre e il ristabilimento della pace. L’invasione dell’Ucraina da parte dei russi e l’acuirsi della crisi in Medio Oriente e lungo la striscia di Gaza sono stati il suo tormento. Se n’è andato senza poter assaporare almeno il parziale successo dei suoi sforzi, ma soprattutto l’aver contribuito ad assicurare a quelle genti una fase di pace e di ricostruzione dalle macerie e disviluppo economico equo. Non ha mai dimenticato nelle sue preghiere e nei suoi appelli le tante altre guerre e le violenze sparse per il mondo. La sua autorità morale ha spesso sferzato i responsabili, nella consapevolezza che spingere verso la tregua e verso la fine delle ostilità significasse evitare morti, morti innocenti di bambini, estranei alla consapevolezza delle ragioni di tanta asprezza e di tanto odio. E’ stato il Papa della gente semplice, “la mia gente è povera e io sono uno di loro” ebbe occasione di dire allorché dovette spiegare perché abitava in un appartamento e si preparava la cena da solo, quando ascese al soglio cardinalizio e fu nominato Vescovo della Capitale argentina. Non usufruiva dell’auto personale. In tv l’abbiamo visto spesso seduto in tram o in metropolitana. Anche questo un modo per stare tra la gente e capirne gli umori, i problemi che certo giungono attenuati nelle mure della diocesi. Argentino con origini italiane, i genitori erano emigranti dal Piemonte, e penso che questa condizione di immigrato di seconda generazione abbia influito sulle sue personali convinzioni in tema di migranti. Nasce nel dicembre del 1936 a Buenos Aires. Completa gli studi medi diplomandosi come perito chimico ma poi entra nel seminario diocesano. Nel 1958 si fa novizio della Compagnia di Gesù. Completa gli studi umanistici in Cile e rientrato in Argentina si laurea in filosofia. Insegna letteratura e psicologia e poi si laurea in teologia nel 1970. In Spagna prosegue la sua preparazione e nel 1973 emette la professione perpetua nei gesuiti. Nello stesso anno diventa provinciale dei Gesuiti d’Argentina. E’ il primo gesuita ad assorgere al ministero petrino. Nel 1969 era stato ordinato sacerdote. Nominato Vescovo ausiliare diventa Arcivescovo di Buenos Aires nel 1998. Fu elevato a Cardinale da Papa Giovanni Paolo II nel 2000. E’ stato anche Presidente della Conferenza episcopale argentina dal 2005 al 2011. Il suo accesso al soglio di Pietro è avvenuto a seguito delle dimissioni da Papa di Benedetto XVI. Ha scritto con quest’ultimo la prima enciclica “Lumen Fidei” completando il percorso di fede avviato dal suo predecessore sulla carità e la speranza. Al lavoro già predisposto da Benedetto, Papa Francesco ha aggiunto il suo contributo, integrandone i contenuti. La seconda enciclica di papa Francesco è la “Laudato si’” scritta nel terzo anno del suo pontificato. E’ l’enciclica che affronta i mali del mondo a partire dalle crisi climatiche dovute ai cambiamenti del clima anche e soprattutto per gli sconvolgimenti intervenuti a causa della cattiva amministrazione del “bene” terra. Ed infine la terza enciclica “Fratelli tutti” scritta nell’ottavo anno del suo pontificato, in piena pandemia, una riflessione di portata universale proprio sulla pandemia, il cui centro è la fraternità umana, un valore da riscoprire in un mondo segnato da solitudini, disuguaglianze, chiusure e conflitti.
“Il manifesto” ha ricordato che nel2016 il papa incontrò i movimenti mondiali popolari, EMMP, riuniti in Roma sui temi dell’ecologia, dei beni comuni, del salario universale. E l’anno precedente, 2015, in Bolivia, il papa aveva partecipato e presieduto l’incontro che si teneva in quel paese. Con simpatia si ricorda che ricevette in regalo dal Presidente socialista Evo Morales, una croce lignea composta da falce e martello; il martello apice della croce, la falce, la sua base: non ha offerto ai poveri ai diseredati la consolazione evangelica, ma ha lanciato un messaggio politico.
Infine la terza enciclica “Fratelli Tutti” è imperniata sui temi della fraternità, della amicizia e della solidarietà sociale. Scritta in un momento di forte solitudine del e nel mondo, a causa della pandemia, è un lungo appello per un mondo fondato sulla solidarietà, la fratellanza, la pace e la giustizia.
L’eredità di Bergoglio è un’eredità non facilmente emarginabile, benché sembri che un tale tentativo sia già in corso. Interrogato per strada sul dopo Bergoglio, un cardinale ha avuto la spudoratezza di rispondere che la Chiesa non è la fotocopia di sé stessa, invece di affidarsi ad una risposta più evangelica, tipo ”i cardinali si affidano all’ispirazione dello Spirito Santo”. Dunque si dovrebbe prospettare una scelta non semplice per il nuovo papa. La storia va avanti, i tempi mutano e, parafrasando, ogni papa è figlio della Chiesa del suo tempo. Non ci sarà molto da attendere. La settimana successiva ai funerali, il concistoro si ritirerà in conclave e occorrerà attendere la tradizionale “fumata bianca” del comignolo “papale”. Il vecchio detto popolare “morto un papa, se ne fa un altro” è ancora “popolarmente” attuale.