Quando è al governo la destra in Europa, ci si aspetta politiche liberali, se non liberiste, apertura dei mercati alla concorrenza, restrizione delle politiche sociali e della spesa pubblica. Non è geometrico il disegno delle politiche economiche di Giorgia Meloni in questi primi dieci mesi di governo. L’inizio è stato all’insegna della prudenza e della continuità, come avevano annotato con soddisfazione gli osservatori occidentali internazionali. La legge di stabilità è stata scritta in continuità con lo schema predisposto dal governo di Mario Draghi e le politiche di prudenza sul profilo della finanza pubblica hanno riscosso generale apprezzamento.
Poi sono cominciate le dichiarazioni di distinguo sul Pnrr predisposto da Mario Draghi, partendo dalla revisione della governance sottratta al Ministero dell’economia per portarla alla Presidenza del Consiglio dei ministri, sino a, in un crescendo rossiniano, attribuire ai due precedenti governi la difficile eredità nella gestione del programma.
Sono poi riemersi i rigurgiti protezionistici nei confronti delle corporazioni che sono parte integrante della constituency elettorale della destra italiana: la falange dei balneari si è schierata in formazione a testuggine a difesa dei diritti concessori attaccati dalle norme comunitarie che impongono di effettuare gare per l’assegnazione delle spiagge.
Mentre tornava a delinearsi una postura sovranista delle politiche economiche, la destra di governo ha effettuato una virata neoconservatrice smantellando il reddito di cittadinanza per proporre una concezione liberista in materia di diritti sociali: i cittadini debbono mobilitare le proprie energie sul mercato del lavoro ed il sostegno dello Stato si indirizza solo a quelle aree di estremo svantaggio, con un dosatore peraltro molto modesto in termini di sostegno finanziario. Sembrava tracciata la strada di un modello di politica economica di stampo conservatrice coerente con il disegno di Giorgia Meloni in vista delle prossime elezioni europee nelle quali ambisce a formare una alleanza con il partito popolare europeo.
Le ultime settimane hanno cambiato completamente questo scenario. Sul salario minimo, soprattutto guardando ai sondaggi, il governo ha preferito fare una mezza apertura alle opposizioni, sino a convocare un incontro a Palazzo Chigi per aprire un confronto sulla questione.
Ma se sul salario minimo pare che siamo in presenza più di una mossa tattica per depotenziare l’iniziativa delle opposizioni, nel decreto Omnibus il governo ha assunto due decisioni che modificano nuovamente a 180 gradi il profilo di politica economica del Governo Meloni.
Per fare fronte al caro voli, è stato deciso di porre un tetto sui prezzi dei biglietti – per una serie di rotte considerate critiche (in particolare per i collegamenti da e per Sicilia e Sardegna) – entro il 200% del prezzo medio. Eddie Wilson, amministratore delegato di Ryanair, ha definito questo provvedimento di impostazione sovietica, come capirebbe anche Harry Potter: il mercato del trasporto aereo è liberalizzato e misure di questo genere sono solo destinate a determinare decisioni di abbandono del mercato da parte delle compagnie, come ha minacciato di fare la stessa Ryanair. La Commissione Europea, sempre sullo stesso provvedimento, ha alzato un cartellino giallo sostenendo di voler verificare gli effetti della norma sulla corretta competizione tra le compagnie aeree nello spazio economico comunitario.
Ma è soprattutto sulla tassa straordinaria sugli extra-profitti delle banche che si misura l’ennesimo cambio di passo nella politica economica del governo Meloni. Si tratta di una misura che era stata invocata nel corso degli ultimi mesi ad alta voce dal Movimento 5 Stelle. Il tema tocca una questione sensibile per tutto l’arco populista: dalla ripartenza dei tassi di interesse gli istituti di credito stanno registrando profitti straordinari.
Il modo con il quale la misura è stata costruita lascia aperte tutta una serie di perplessità: l’annuncio è stato fatto in una conferenza stampa nella quale non era presente il Ministro dell’Economia, i contorni della misura non sono stati chiariti, il giorno dopo i mercati finanziari erano aperti e si è determinata una reazione inevitabilmente speculativa sui titoli bancari, al punto tale da richiedere una nota di precisazione del Ministero dell’Economia che ha specificato il tetto massimo di applicazione, che riguarderà lo 0,1% degli attivi patrimoniali delle banche .
Anche per assumere provvedimenti sovietici è necessario ricorrere a tecnicalità efficaci di politica economica. Nel caso del caro voli, il provvedimento non è solo restrittivo della concorrenza, ma anche di dubbia efficacia, perché rischia di determinare un innalzamento del prezzo medio, esattamente il contrario rispetto all’obiettivo che si prefigge il governo. Nel caso della tassazione degli extra-profitti bancari, non aver dialogato con gli istituti di credito ed aver agito a mercati aperti ha generato manovre speculative, che hanno arricchito proprio quel segmento di operatori che il governo intendeva colpire con questa operazione. Senza dimenticare che la manovra di tassazione sull’extra-profitto riguarda esclusivamente la massa di attività che si riferisce al credito, mentre le banche svolgono attività finanziarie, che saranno invece escluse dal provvedimento. Si introduce per questa via un disincentivo alle operazioni di credito, con un danno non solo per cittadini ed imprese, ma anche per lo stesso Stato, quando dovrà emettere titoli del debito pubblico sul mercato.
Ma soprattutto sono gli ondeggiamenti di politica economica del governo a preoccupare: tra liberismo e sovietismo non esiste conciliabilità. Alternare tra orientamenti opposti introduce una incertezza che non favorisce la credibilità del governo sui mercati. Sarà questo uno dei temi di fondo che caratterizzeranno l’attenzione degli operatori internazionali verso l’Italia nei prossimi mesi.