Maurizio Bonati è un medico, già responsabile del Dipartimento di Salute Pubblica e del Laboratorio per la Salute Materno-Infantile dell’Istituto Mario Negri IRCCS di Milano. È stato consulente per l’Organizzazione Mondiale della Sanità e collabora con organizzazioni non governative per progetti sanitari nei Paesi del terzo e del quarto mondo.
«Nel 2023 un bambino su cinque nel mondo (400 milioni) ha vissuto o è fuggito da zone di conflitto. Tra il 2005 e il 2022 si sono verificate oltre 315.000 gravi violazioni dei diritti dell’infanzia. Bambini e bambine vengono uccisi, mutilati, rapiti ed è loro negato l’accesso agli aiuti umanitari. Sono reclutati da gruppi armati ed esposti al rischio di sfruttamento e radicalizzazione. I bambini e le strutture da cui dipendono sono presi di mira dai belligeranti e subiscono i danni collaterali della guerra.
l periodo iniziale di una guerra è quello con la maggior acuzie distruttiva, così dopo 80 giorni di guerra nella Striscia di Gaza, in seguito alla valutazione dell’attività in diversi ospedali, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha comunicato che la capacità sanitaria della Striscia era pari al 20% di quella precedente i bombardamenti. Il Ministero della Sanità di Gaza per lo stesso periodo (i primi 80 giorni di conflitto) ha stilato un bilancio totale di 21.110 morti e 55.243 feriti (Dopo 160 giorni i morti erano poco meno di 32.000 e i feriti 75.000: nota dell’autore). Tra i morti, 8.500 bambini, 6.300 donne, 311 operatori sanitari, 40 soccorritori della Protezione Civile, 103 giornalisti e operatori dell’informazione.
In Ucraina, durante i primi due anni di conflitto, quasi 4.000 strutture educative sono state danneggiate o distrutte. Oltre alle lesioni acute e alla tragica perdita di vite umane, fra le ripercussioni della guerra va considerato come l’esposizione stessa alla violenza sia profondamente traumatica e abbia conseguenze permanenti sulla salute e sullo sviluppo dei più piccoli, tra cui disabilità, ritardo dello sviluppo, malnutrizione, disturbo da stress post traumatico e disturbi emotivi e comportamentali. La distruzione delle infrastrutture e degli spazi sicuri (strutture mediche, scuole, aree gioco, biblioteche, centri sociali) priva i bambini dell’accesso all’assistenza sanitaria, all’istruzione di base e alla vita sociale, aggravando le avversità e l’insicurezza delle condizioni di vita create dalla guerra. Gli effetti di un trauma prolungato possono persistere nell’età adulta ed essere trasmessi alla generazione successiva.
(…) Nonostante i pochi decenni trascorsi dalla fine della Seconda guerra mondiale, per noi Europei le guerre che si sono succedute, e quelle in corso, sono apparentemente lontane e di interesse altrui. L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia con il successivo rifornimento di aiuti umanitari, militari, politici ed economici, sta a testimoniare invece che il coinvolgimento riguarda molti Paesi, non solo i belligeranti o quelli confinanti, e tra questi l’Italia. Un’Italia presente ad esempio nei Balcani con missioni militari internazionali, umanitarie e di stabilizzazione a partire dal 1991; così come nella disastrosa esperienza afghana dal 2001 al 2021 (costata agli Italiani oltre 8 miliardi di euro e la vita di 53 militari e 700 feriti); in Iraq nel 2003 (con 39 militari morti in missione, l’ultimo nel 2019) e persino nel bombardamento in Libia nel 2011, poco dopo che autorità di Stato e di governo e alcune migliaia di imprenditori avevano accolto Gheddafi a Roma, allestendo anche una tenda beduina con odalische.
Le guerre sono quindi ricorrenti e vicine, e i possibili scenari bellici (…) interessano tutti, sebbene in modo diverso.»
Maurizio Bonati, Il cronico trauma della guerra. Donne e bambini, le prime vittime.