L’Autore, amministratore unico della Servizi Integrati, è il progettista e direttore dei lavori di “Demolizione delle Vele A, C e D e riqualificazione della Vela B”.
Quindici anni fa, con altri colleghi mi sono occupato della progettazione della “Piazza della Socialità” a Scampia, intervento che doveva assicurare, da un lato, una quota di edilizia residenziale sostitutiva derivante dall’abbattimento delle Vele e, dall’altro, doveva configurare quel polo di attività terziarie, culturali e di servizi, anche a scala urbana, come importante strumento di riqualificazione del quartiere.
Il richiamo alla Piazza/Agorà doveva essere il modello al quale riferirsi per la configurazione di un luogo fisico contenitore di relazioni e scambi sociali e culturali, più che di bisogni reificati in cubatura.
La “Piazza della Socialità” è stata completata solo in parte, mancando ancora molte delle attività terziarie e quei servizi che avrebbero dovuto contribuire a ridurre il forte senso di emarginazione tipico dei territori periferici cittadini.
All’epoca ho frequentato quei luoghi e l’atmosfera che si respirava era molto diversa da oggi: la presenza di un “estraneo” era immediatamente avvertita ed il territorio dimostrava palesemente di averne il controllo.
Da quella esperienza sono passati quindici anni e quando di recente la mia società si è aggiudicata la gara per la progettazione e direzione dei lavori per la demolizione delle ultime tre Vele e la riqualificazione della “Vela Azzurra”, ho letto la notizia come un segno del destino, di continuità, di un lavoro iniziato e che andava completato.
Nel ritornare oggi a Scampia dove sorgono le quattro Vele ho ritrovato, con piacevole stupore un ambiente “accogliente”, un territorio profondamente “modificato”.
Con Massimo Santoro, responsabile del procedimento, e con i Comitati per le Vele, che hanno fortemente spinto il progetto, “RESTART SCAMPIA”, si è creata una perfetta sinergia: con grande disinvoltura ho girato per le Vele entrando nelle case e subito ho percepito nella gente quel desiderio interiore di riscatto, unito ad una grande dignità e umanità.
Colleghi più illustri di me si sono spinti nel giudicare che cosa sia stato l’intervento delle “Vele”, ben progettato dall’architetto Franz di Salvo e mal reinterpretato e modificato, per evidenti motivi, nella sua realizzazione.
Posso soltanto dire che nella progettazione gli elementi più mortificanti e discriminanti che esistevano nella Vela B, sono stati rimossi lasciando, in quello che resterà, un segno di memoria e di riscatto.
E questo desiderio di riscatto l’ho interpretato nel “colore” che gli stessi abitanti avevano impresso alle Vele – verde, azzurra, gialla e rossa, in luogo dell’anonima definizione di Vela “A”, “B”, “C” e “D” – che si è rivelato essere il vero significato dell’ “abitare”: il “colore” permea ogni cosa, addirittura influenza fortemente il livello di benessere.
Il colore infatti non è soltanto un elemento decorativo, ma psicologico, influenza l’umore, detta lo stile di un ambiente, modifica la percezione delle forme, della temperatura e persino dello scorrere del tempo.
Con sorpresa e meraviglia, dopo pochi giorni dalla prima “pinzata” del 20 febbraio – che mi ha creato forti emozioni per tutto ciò che racchiudeva quel gesto – ho scoperto che ogni abitante di quelle cellule ripetitive di cemento grigio aveva sentito il bisogno di portarvi all’interno il “colore”, come elemento aggiuntivo all’architettura, necessario a creare accoglienza e benessere alla vita quotidiana. Così, senza la facciata, la Vela è apparsa come l’opera di un artista in un mosaico di diversi colori che si alternano tra le varie cellule.
Spesso per interpretare e dare un significato ad un gesto, pensiamo che sia indispensabile la “conoscenza”, immaginando che coloro che ne sono stati privati, non possiedano questa sensibilità.
Ed invece proprio queste persone emarginate hanno naturalmente percepito la necessità di sostituire il grigiore che li circondava con il “colore”, segno di un bisogno primario.