L’Autrice ci ha concesso la pubblicazione di questo suo lavoro parzialmente tratto da: Ghisi Grütter, “La città nei dipinti inizio Novecento in Europa”, Ticonzero, giugno 2021.
Quadri, affreschi, manifesti hanno sempre svolto il ruolo di illustrare il periodo e il luogo in cui venivano elaborati. Qui si mettono in evidenza quelli che in qualche misura possono rappresentare le grandi trasformazioni urbane avvenute tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX in Europa.
Le grandi capitali, in particolare Parigi, cambiano fisionomia nel corso dell’Ottocento grazie a un notevole incremento demografico e alla demolizione delle antiche mura – cosa che avverrà anche a Vienna e in altre grandi città – e la loro conseguente trasformazione in boulevards. In vent’anni (tra il 1850 e il 1870) il numero degli abitanti di Parigi passa da un milione a un milione e ottocentomila e nel 1862 il barone Haussman afferma che di 1.700.000 abitanti nella capitale, 1.200.000 sono esenti da tasse a causa del loro scarso reddito.
La disponibilità del gas illuminante permetterà nel 1825 di realizzare un’illuminazione centralizzata nella città di Parigi che sarà una delle ragioni per cui ha avuto il soprannome di Ville Lumiere. La luce elettrica dona una vita più lunga all’ambiente urbano e viene realizzata una rete di trasporti pubblici: gli omnibus per 16 persone, tirati da cavalli, appaiono a Parigi nel 1828. In questo periodo vengono realizzati molti altri servizi – dalle fognature alle stazioni ferroviarie – con grande attenzione all’igiene per evitare le epidemie. Anche altre grosse strutture urbane sono costruite in questo secolo come i mercati, i giardini e i teatri.
Verso la fine dell’Ottocento le arti figurative hanno avuto il loro maggiore sviluppo in Francia, in particolare a Parigi, dove si ritrovano molti artisti provenienti da tutta Europa. Inoltre, nello stesso periodo si colloca la nascita del graphic design con la sua duplice origine. Da un lato, il tipografo è il più diretto progenitore come tecnico e cultore dell’arte della stampa e dei rapporti compositivi, degli equilibri e delle proporzioni dello stampato; dall’altro lato, invece, è il pittore il progettista della grafica.
Una volta lo stesso tipografo era il progettista di caratteri, basti pensare a Giambattista Bodoni, Firmin Didot e John Baskerville, mentre i pittori si occupavano delle illustrazioni delle tavole fuori testo o dei frontespizi. La riproducibilità dell’opera d’arte ha richiesto una figura con nuove competenze artistiche e tecnologiche e, solo alla fine del XIX secolo, si può datare la nascita del progettista grafico. Al manifesto si dedicarono alcuni pittori in grado di afferrare il significato di un messaggio espresso graficamente: è l’epoca dei pittori-cartellonisti che si interessarono alla nuova tecnica della litografia.
Lo spettacolo più popolare durante questo periodo denominato La Belle Époque è stato il balletto, mentre all’inizio del XX lo diventerà il cinema. Nei manifesti degli spettacoli di danza si cerca spesso di captare il movimento, la grazia femminile e i costumi di scena. Anche quelli cinematografici sono riprodotti con sistema litografico e non si distaccano dagli altri, ricalcando lo stile in auge del momento.
Parigi è il soggetto predominante sia nei quadri sia nei manifesti. Le opere che meglio di altre parlano di questa grande capitale sono i quadri di Gustave Caillebotte, figlio di un imprenditore di successo che, essendo benestante, si può permettere di acquistare molte opere dei suoi colleghi ed amici e finanziarne alcune esposizioni, fino alla sua partenza per New York del 1885. Anche la scelta dei soggetti dei suoi quadri denota una certa origine agiata: la città presenta una natura borghese priva dei capricci notturni e delle notti folli. Si può dire che a Montmartre Gustave Caillebotte preferisca i boulevards haussmanniani. A differenza dei suoi amici impressionisti, vede la luce come un perfetto candore e non usa troppi colori.
Anche il quadro “Il boulevard de Clichy” dipinto da Van Gogh nel 1871 mostra la nuova realtà urbana anche se filtrata dal suo stato d’animo, come spesso fa nei suoi quadri. In questo caso il boulevard, seppure animato dal passaggio di gente, diventa un luogo di solitudine e di smarrimento. Il “Ballo al Mulino de la Galette” di Pierre-Auguste Renoir del 1876 è un simbolo degli interventi haussmaniani che hanno cambiato profondamente Parigi. Anche Picasso, nel 1900, ritrarrà lo stesso luogo. L’opera di Georges-Pierre Seurat ritrae quella che è una grande conquista dell’età borghese: la possibilità di svagarsi nei parchi pubblici, messi a disposizione dell’intera popolazione. Così, il divertimento domenicale all’isola della “Grande Jatte” nella Senna ha un accesso per tutti, non solamente per i ceti più elevati. Il quadro di Seurat apre nuovi orizzonti dell’arte, e non a caso è una delle opere più importanti della corrente artistica detta pointillisme.
In tal modo, i parchi pubblici, i boulevards alberati e i giardini diventano i siti preferiti dai pittori assieme ai simboli della rivoluzione industriale e del potere tecnologico come i ponti e le stazioni ferroviarie. Ad esempio Oscar-Claude Monet è interessato alla rivoluzione industriale e all’impatto della modernità nel contesto urbano. Nel quadro “La stazione di Saint-Lazare” il vapore della locomotiva sembra divorare le case borghesi sullo sfondo, e la copertura in ferro e vetro della stazione diventa la vera protagonista dell’opera.
Le caratteristiche dei fauves (Salon d’Automne di Parigi del 1905) sono un uso violento del colore con accostamenti cromatici caldi e freddi, una linea di contorno anch’essa molto accentuata che esalta i colori, l’abbandono della prospettiva e la rottura del rapporto con la realtà. Tra i quadri fauves vorrei citare quelli dipinti da André Derain di Londra, dove si recò a dipingere alcune vedute della città convinto dal mercante Ambroise Vollard. “Il ponte di Charing Cross “a Londra – che fu ritratto varie volte da Derain – mostra in prevalenza l’acqua del Tamigi mossa dalla corrente che riflette la luce ambientale mentre il cielo è una quinta colorata vivacemente che fa da sfondo. Due dei pesanti piloni affondano nel fiume e dietro al ponte si intravedono le sagome degli edifici di Londra che chiudono l’orizzonte mentre nell’aria si disperdono i fumi della metropoli.
Il triennio tra il 1905 – 1907 si può considerare la fase precubista di George Braque. Una tendenza che si delinea già all’interno del gruppo dei fauves attraverso una variazione linguistica senza ancora una rottura totale con le premesse postimpressioniste e simboliste. Con la collaborazione di Juan Gris portò all’estremo la rappresentazione del reale diventata troppo astratta introducendo nel quadro frammenti di realtà, di oggetti combinati alle parti dipinte (tecnica del collage), utilizzando mascherine con numeri o lettere (tecnica mista, tipo stencil); talvolta inserisce il trompe l’œil riproducendo l’effetto delle venature del legno (tecnica del pettine passato sul colore fresco). Nella primavera del 1906 Georges Braque trascorre un periodo ad Anversa che ritrae in più dipinti. In un quadro del porto impiega una gamma cromatica violenta, con una pennellata veloce e sommaria, ne ribalta la prospettiva collegando, in una rappresentazione bidimensionale, la banchina in primo piano con le barche e le case al di là del porto.
Famose sono le viste della Tour Eiffel, quale simbolo urbano di progresso tecnologico, dipinte da Robert Delaunay. La sua opera “Aria, ferro, acqua“, presenta un quadro sinottico dei principali temi ricorrenti nel suo lavoro: un gigantesco murale dipinto per decorare il padiglione delle ferrovie francesi durante l’Esposizione Universale di Parigi sul tema Arts et Techniques dans la Vie moderne.
Anche il Futurismo nasce a Parigi, nel 1909, come movimento poetico per iniziativa di Tommaso Marinetti e si sviluppa come movimento artistico negli anni successivi, dopo l’adesione di alcuni pittori. Nel 1910 Umberto Boccioni scrive il Manifesto della pittura futurista, due anni dopo Giacomo Balla e Fortunato Depero redigono il Manifesto della scultura futurista. Faranno parte di questo movimento vari artisti tra cui Carlo Carrà, Luigi Russolo, e Gino Severini. La città ricopre un ruolo importante per i futuristi, basti pensare ai disegni di Antonio Sant’Elia che nel 1914 scrive il Manifesto dell’architettura futurista. La progettazione dell’ideale “città futurista” viene immaginata in disegni che rappresentano grattacieli in metallo, vetro e cemento. Le architetture sono imponenti e si ergono come “volumi puri” che, al di là della funzione, diventano “monumenti” che celebrano “il trionfo della tecnologia”. Nei progetti urbanistici sono compresi aeroporti, centrali elettriche, ponti e strade a vari livelli. Il Movimento futurista – decisamente avanguardista nella rottura con il passato – ha come caratteristiche principali il culto della macchina, del progresso tecnico, della velocità e come obiettivo la creazione di un nuovo canone di bellezza detto il “dinamismo universale”. Per i Futuristi protagonista della rappresentazione artistica è “la realtà in movimento”, studiata e approfondita nel suo continuo divenire e nella sua trasformazione.
Per concludere, si può dunque affermare che la città, trasformata dalla industrializzazione e “democratizzazione”, è presente nei quadri della fine dell’Ottocento”, tenderà a occultarsi con i movimenti che privilegiano l’astrazione o che guardano all’introspezione, riapparirà negli anni Trenta del secolo scorso a rappresentare le nuove tecnologie con la conseguente velocità.
Per ritrovare una supremazia urbana nella pittura si dovrà arrivare all’inizio degli anni ‘60 con gli artisti della Pop Art, una generazione che ha visto esaurirsi la carica innovativa dell’informale e dell’espressionismo astratto. In Inghilterra, le prime ipotesi di assumere la cultura popolare nell’arte, sono negli anni ’50, dell’Indipendent Group, un’organizzazione che si riunisce presso l’Institute of Contemporary Art di Londra; sarà poi negli Stati Uniti che la Pop Art si radicherà maggiormente. Andy Warhol, Roy Lichtenstein, Tom Wesselmann, James Rosenquist e Claes Oldenburg, sulla via già intrapresa da Robert Rauschenberg, Jasper Johns e Jim Dine, volgeranno la loro attenzione alla realtà che li circonda fatta di oggetti, prodotti in serie e consumati in massa, dando risalto al contesto urbano in cui vivono.
Didascalie delle immagini:
- Gino Severini, Le Boulevard, 1911
- Gustave Caillebotte, Jeune homme a la fenêtre, 1875
- Georges Seurat, Una domenica alla Grande Jatte, 1884
- Robert Delaunay, La Tour Eiffel, 1910