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Le terribili parole di Gino Cecchettin

by Piera De Prosperis
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Terribile! E in questo aggettivo racchiudo tutte le possibili qualificazioni che si possono attribuire al discorso tenuto dal padre di Giulia Cecchettin in occasione dei funerali. Ed è l’aggettivo che ha usato proprio il padre per definire una tempesta terribile l’orribile vicenda che ha coinvolto una normale famiglia. Ha ricordato il carattere gioioso e combattivo della figlia, che si definiva oplita come gli antichi soldati greci che armati di lunghe lance, in ranghi serrati, affrontavano il nemico. Purtroppo il nemico, quello che non ti guarda in faccia ma lavora ai fianchi e opera nell’ombra attaccandoti alle spalle, Giulia non pensava potesse mai arrivare. O per lo meno non quella maledetta sera. Nel discorso si dice proprio questo. Come è potuto succedere? E allora si cercano motivazioni in una cultura, la nostra, che ancora consente che avvengano i femminicidi. Perché non riusciamo a creare una società in cui la parità di genere sia finalmente riconosciuta e assimilata.

Il padre di Giulia ha chiamato in causa anche la responsabilità individuale, quella incapacità a dare un nome alla sofferenza interiore e ad affrontarla per superarla. Invito al dialogo nelle famiglie. Invito all’ascolto, soprattutto. E all’osservazione di comportamenti, gesti, parole fuori luogo. Invito ad una connessione umana che superi o affianchi quella digitale. Parole terribili. Fra tutte mi ha colpito un’espressione poetica che vi ripropongo: imparare a danzare sotto la pioggia. Imparare, cioè, non solo a sopravvivere alla tempesta di dolore ma anche a muovere i giusti passi nella tristezza e nella sofferenza perché tutto acquisti la dolcezza e la tenerezza della danza. Le parole sono di una poesia di Kahlil Gibran, Il vero amore. La strofa completa recita: La vita non è una questione di come sopravvivere alla tempesta, ma di come danzare nella pioggia. Non per dimenticare Giulia, ma per dare un senso a questa terribile morte.

Parole di un uomo adulto e consapevole, che forse avrebbe voluto vivere il suo dolore in altro modo ma ha avuto la forza di renderlo pubblico perché aiuti altre ed altri. Il ministro Valditara, presente alla funzione, ha detto che il discorso sarà inviato nelle scuole perché sia letto nelle classi e diventi momento di riflessione. Bel gesto, sicuramente importante. Ma come al solito il timore è che, passata l’onda emozionale, tutto ritorni come prima. Non basta una lettura. Il discorso pedagogico, lo abbiamo detto e non ci stancheremo di ripeterlo, passa attraverso la quotidianità dell’azione. Ogni parola, ogni lettura, ogni momento della vita scolastica deve tendere nei fatti al superamento di mentalità obsolete. Possiamo leggere tutte le lettere, tutte le parole appassionate dettate dal dolore e dall’emozione. I giovani hanno bisogno della sedimentazione dei concetti, dell’ordinario costruirsi del proprio essere, non della straordinarietà che viene vissuta e conclusa in breve tempo.

Se nell’antica Roma solo le bonae feminae, mogli e madri devote, pudiche e modeste, avevano diritto alla laudatio funebris con cui si creava un idealtipo femminile utile ai tempi, nelle parole per Giulia il padre ha descritto un’immagine cui tutte le nostre figlie, le giovani di oggi, sono vicine. Dobbiamo ancora imparare a proteggerle.