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Le Olimpiadi al contrario

atleti, Senna, arbitri e... Olimpia

by Luca Rampazzo
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No, non è un assist a un ben noto Generale. Ma è difficile negare che queste Olimpiadi abbiano visto il contorno diventare la portata principale e lo sport diventare una mera scusa. Dalla Senna da cui uscivano atleti seriamente indisposti, fino a una cerimonia di apertura sospesa tra Metal e arcani riferimenti rinascimentali, sembra davvero che si sia fatto di tutto per nascondere lo sport. Il che, se me lo consentite, per chi scrive va benissimo così. Non sono uno sportivo e quindi i fenomeni di costume sono naturalmente più divertenti. Dal tiratore turco 50enne, fotografato come novello Clint Eastwood senza ottica di precisione, senza costosissime pistole sportive, mano in tasca da commentatore di calcio al bar, che prende un oro surclassando la concorrenza, fino alle tonsille di Sinner è davvero un fiorire di casi sociali da commentare.

L’umanità degli atleti

Da Sinner col mal di gola, che spiega al CONI quanto poco gli importi dei colori nazionali in confronto alla sua salute e carriera, fino alle lacrime di Carini è il tripudio dell’umanità degli atleti. Il primo caso internazionale fu Simone Biles, che tre anni fa si ritirò per la sua salute mentale. Spaccando i commentatori tra chi la accusava di fuga dalle responsabilità e chi ne elogiava la sincerità. Quest’anno ha vinto l’oro nella competizione a squadre, contro le nostre atlete. Ma ha fatto strada e storia. Così davanti alle lacrime della nuotatrice Pilato (settima nel nuoto) la commentatrice Di Francisca che le chiedeva, con forse troppa irruenza, di ricomporsi, è stata la giornalista a prendersi i fischi del pubblico. E le lacrime della boxeuse Carini sono diventate il vessillo di battaglia di un 80% dei commenti social, ci dice Repubblica.

Lo strano feticismo della Senna

Io mi domando, onestamente, come sia potuta essere una buona idea ostinarsi a far nuotare la gente nella Senna. Cioè, al netto delle scene apocalittiche degli atleti che rimettevano dopo esserne usciti, c’è tutta una questione di logica e logistica che sfida l’idea di farci le Olimpiadi dentro. Il picco lo si è toccato quando si è scoperto che la pioggia la inquinava. Non è una cosa sorprendente, le strade attorno non sono certo una sala operatoria, quindi il dilavamento al fiume non fa bene. Eppure nulla, Macron non si è fermato. Stranezze di una grandeur che ormai vive di fiume d’acqua (poco) pulita più che di fiumi di consenso.

Il complicato rapporto con gli arbitri

Diciamocelo, una parte importante del tifo, di qualsiasi tifo, sono le speculazioni sulla fedeltà del coniuge dell’arbitro. Stavolta, però, pare proprio che i direttori di gara ce l’avessero con i nostri atleti. Ci sono state fior di proteste ufficiali in moltissimi settori, dalla scherma in giù. Per fortuna nessuno ha inseguito, come invece ha fatto un atleta Georgiano, l’arbitro fioretto alla mano contestandone le decisioni. E so a cosa state pensando, ma mi rifiuto di alimentare il circo delle polemiche sugli atleti algerini. In particolare di chi sale sul ring di boxe. Però non si può non dire che di quell’incontro sta parlando, letteralmente, tutto il mondo. A sproposito, molto spesso. Stavolta, in maniera molto interessante e significativa, da ambo le parti.

La maledizione di Olimpia

Esiste una triste nomea sui paesi e le città che organizzano i Giochi, basta pensare alla Grecia del 2004, e poi finiscono a gambe all’aria. Vedremo se Parigi, come successe a Lisbona, saprà rompere la malia. Se non ci riuscirà potremo parlare di maledizione di Olimpia. Da non confondersi con quella di Montezuma che colpisce, stavolta, selettivamente solo chi si tuffa nella Senna.