Più che fotografie, frammenti di vita. La mostra fotografica organizzata dall’Associazione Memoria in Movimento presso il circolo Mumble Rumble di Salerno non è stata una semplice esposizione, (inaugurata il 10 ed aperta fino al 17 dicembre) ma una memoria stampata in cui il narratore ed autore, Gio Palazzo, ex operaio torinese con la passione della fotografia, ha dato vita a ricordi. “La potenza dell’immagine nelle lotte politiche e sociali”, il filo conduttore che ha diviso le tre parti della mostra: Internazionale, Lotte operaie, dei Movimenti.
Il bianco e nero i colori che sono stati scelti per raccontare da “dentro” la lotta dei 35 giorni alla Fiat nell’autunno dell’ottanta e le diverse proteste e cortei a cui Gio ha preso parte. Colori che solo negli scatti dedicati alle lotte della guerra civile del Salvador vengono annientanti dal verde dei paesaggi, dal marrone del terreno e dall’ambra della pelle dei combattenti.
Gio Palazzo, nato in provincia di Foggia nel 1954, vive un passato comune a tanti meridionali di quel tempo. La sua famiglia si trasferisce al nord, a Torino, per lavoro. Lì, nella periferia, lui vive gli anni del boom e della Fiat, gli anni della crescita industriale. E’ qui che il fotografo ha il contatto con la classe operaia italiana. A segnare profondamente la sua vita, un incontro. Quello con la sinistra rivoluzionaria della Quarta Internazionale. Poi, negli anni ’70, il contatto con la fotografia che diventerà sua fedele compagna.
La maggioranza degli scatti esposti ha raccontato la lotta dei 35 giorni alla Fiat. A cominciare da quel 9 ottobre del 1979 quando 61 dipendenti vennero licenziati.
“Tutti meridionali”, sottolinea Gio Palazzo, che nell’indicare una foto di un uomo riccio e con il megafono, racconta che, in quegli anni, “quelli del sud” li riconoscevi subito da viso e vestiti. Dalle sue foto si evince un netto parallelismo tra lo stereotipo estetico dell’uomo meridionale e quello del nord, più curato e con barba e capelli fatti. Due mondi diversi, accomunati solo dall’esser scesi ugualmente in piazza. Non manifestarono solo gli operai, infatti, ma il corteo coinvolse tutti, anche donne, studenti e dirigenti “più in alto”. Furono proprio questi ultimi a pagare “di più” un anno dopo, quando la Fiat decise di licenziare 14.469 dipendenti. “Tra i primi ci furono quelli che erano scesi in piazza”, racconta Gio.
Ed è qui che comincia la storia ufficiale dei 35 giorni. La reazione dei lavoratori fu immediata. Un accavallarsi di scioperi, cortei, manifestazioni. Nel dibattito pubblico verranno evidenziati aspetti di conflitto e violenza, cosa che poi la magistratura smentirà, tentando di associare i cortei e le occupazioni di strade e stazioni al terrorismo. Nel 14 ottobre del 1980 parte un corteo che si ingrossa lungo la strada. La Tv alla sera parlerà di 2mila persone. Sulla stampa “indipendente” i partecipanti nel giro di due giorni diventarono 30-35mila. Passerà alla storia come il corteo dei 40.000.
Ma negli scatti di Gio Palazzo c’è la vera e dura lotta degli operai della Fiat per difendere i loro posti di lavoro. Mai un leader, mai un “grande” in piazza a parlare. Niente foto del “politically correct”, ma strade invase di persone, la quotidianità di una “battaglia” vista dalla parte dei manifestanti. Questo suo particolare modo di fare fotografia è l’elemento distintivo che accompagnerà i suoi scatti “rubati” anche negli anni successivi, dall’Italia all’America Latina.
Dai cortei femministi e transessuali, alla manifestazione a Roma per protestare contro l’invasione del Libano. Ma la sua Nikon si sposta anche oltreoceano. A partire dal 1980, quando scoppia la guerra civile in Salvador, Gio è lì per documentare il conflitto. E ci tornerà innumerevoli volte negli anni successivi, rischiando la pelle più di una volta. Nelle sue foto momenti rubati: chiese dei poveri, un addestramento, un bambino che gioca con un fucile e sorride, perché non si rende ancora conto, e le operazioni dei militari viste dall’interno, con soldati stanchi, spesso poco più che adolescenti, accasciati sul fucile, o con sguardi fieri e determinati, in pose plastiche. Volti e storie reali, che sono custodite nei musei della memoria.
I suoi scatti sono stati pubblicati in vari libri anche da organismi internazionali. Ed un’ala intera del Museo de la palapra y la imagen del Salvador (Museo nazionale della parola e dell’immagine) è dedicata esclusivamente alle sue foto.
Non vi sono storie e ricostruzioni. Gio Palazzo racconta la realtà, nero su bianco, nuda e cruda. La fotografia lui la chiama passione, ma oramai si tratta di essenza.