I modelli educativi, soprattutto per la prima infanzia, non riescono ancora a tenere in sufficiente conto la rivoluzione digitale ed i drammatici cambiamenti che si determinano sui processi di apprendimento e di crescita. Se ne è discusso in un convegno promosso dal Rotary club di Napoli l’11 marzo sera presso l’hotel Royal Continental, dal titolo “Connessioni delicate”.
Ad aprire la discussione è stato Paolo Siani, nella passata legislatura vicepresidente della Commissione parlamentare Bicamerale Infanzia. Ci troviamo innanzitutto di fronte a regole del tutto teoriche che non vengono per nulla applicate. Solo qualche giorno fa Whatsapp ha inviato un messaggio a tutti gli utenti nel quale si dichiarava l’abbassamento della età ammissibile per l’utilizzo di questa piattaforma: da 16 anni a 13. Appare abbastanza intuitivo sottolineare che né il precedente limite, ma neanche quello successivo, sia pure ridotto, corrisponda alla realtà nell’accesso dei giovani a questo servizio.
Sono molti i rischi che le giovani generazioni affrontano nella utilizzazione delle applicazioni social. Il bullismo, fenomeno certamente preesistente, sta diventando ormai prevalentemente cyberbullismo, con la particolarità che la piattaforma maggiormente utilizzata per commettere questo reato è YouTube, probabilmente per il legame tra immagine e testi.
L’Italia, con la legge n. 71 del 29 maggio 2017, si è dotata di una normativa contro il cyberbullismo, ma la repressione di questi comportamenti diventa molto difficile per la pervasività degli strumenti utilizzati e per la complessità di individuare tempestivamente i comportamenti devianti.
I cambiamenti che si sono determinati sono particolarmente connessi alla diffusione dei telefoni cellulari, che sono diventati la protesi digitale della nostra vita, ed in particolare della vita dei ragazzi. Secondo Paolo Siani, vietare l’acceso è impresa davvero complessa per la pervasività della diffusione, mentre è assolutamente indispensabile una campagna diffusa di informazione sulle distorsioni che si possono determinare.
L’Unesco, l’agenzia culturale delle Nazioni Unite, ha invitato a vietare l’uso nelle scuole degli smartphone. Recentemente in Italia il Ministro della pubblica istruzione e del merito ha emanato una circolare che vieta l’uso dei telefonini durante lo svolgimento della attività didattica.
La questione diventa estremamente più delicata se osserviamo il fenomeno durante l’età della prima infanzia. E’ stato rilevato che, nella fascia tra zero e due anni un quarto dei genitori fa leggere le favole ad Alexa. Questa scelta si traduce, secondo studi scientifici che sono stati pubblicati, in una perdita cognitiva irrimediabile per il minore.
Ogni minuto di ascolto da Alexa per un minore significa un apprendimento di sette parole in meno rispetto al caso di un minore che ascolta le favole dalla voce dei suoi genitori. Questo accade perché la voce metallica dello strumento rallenta la chiusura delle sinapsi nel cervello del minore, e peggiora il suo patrimonio cognitivo.
Meta, il colosso della rete, ha promosso proprio per queste ragioni una iniziativa assieme ai pediatri per consentire un uso consapevole dei social media e delle applicazioni tecnologiche.
I dati sono davvero preoccupanti: il 26% dei minori al di sotto dei due anni usa il telefonino, per arrivare al 64% nella fascia tra i 3 ed i 5 anni. Questi comportamenti sociali sono difficilmente modificabili, come del resto è accaduto nella scorsa generazione per l’accesso e l’uso della televisione, e poi del computer.
La strada di una campagna di informazione pervasiva appare assolutamente indispensabile: questa necessità stenta ad emergere e ad essere praticata. Corriamo il rischio di scoprire tutte le ricadute negative di questo dissennato uso delle nuove tecnologie quando sarà troppo tardi per gli attuali neonati e ragazzi. Lo ha fatto rilevare nel suo intervento il Maggiore dei Carabinieri Tognoni. Bisogna cominciare dalle famiglie: manca la consapevolezza per governare il fenomeno da parte dei genitori.
A concludere la discussione è intervenuta la psicologa Roberta Vacca. Emergono comportamenti che inducono ad una schizofrenia tra vita reale e vita virtuale, come l’egosurfing, vale a dire la patologia di misurarsi sulla base dei like ricevuti nelle proprie esternazioni digitali.
Emerge un narcisismo digitale, che ormai è una componente patologica del tradizionale narcisismo, da alcuni ormai definito anche 2.0: questo fenomeno sta comportando l’affermazione di un modello sociale in cui si è vittime e carnefici al tempo stesso. I nostri neonati ed i nostri ragazzi possono essere i capri espiatori di una distrazione collettiva sull’effetto che si sta determinando per effetto del nostro passaggio alla società digitale.