È l’introduzione del 1972 a William Irwin Thompson, “All’orlo della storia”, in seguito inserita in “Gli arcani del potere. Elzeviri 1960-2000”: “Thompson conduce a visitare la centrale di questa diversa America, il suo tempio tecnocratico, il celebre Massachusetts Institute of Technology: MIT, magica sigla! Ma è un cuore vulnerabile”.
«Arte difficile, capire il presente. Chi ha interesse a che le cose restino come sono, non le vede con limpidezza; chi vagheggia un certo tipo di futuro, è altrettanto obnubilato. Rettamente vede soltanto colui che sappia rendersi impersonale e quieto; così l’acqua può rispecchiare soltanto se è immobile, senza turbamento.
Che cosa il MIT (Massachusetts Institute of Technology, ndr) può mai opporre all’evidente inquinamento dell’aria e dell’acqua? I suoi tecnocrati erano abituati a fidarsi del dogma che l’uomo deve sottomettere, dominare e organizzare la natura, non immaginavano che questa sottomissione si dovesse pagare. D’altronde che cosa ha da opporre il MIT ai suoi studenti assai ben sobillati e in rivolta? La fantasia per i tecnocrati è una cosa trascurabile (quanto la nostalgia del passato, del mondo naturale), ed ecco, qualcuno ha incendiato la fantasia dei loro discepoli con vaghissime utopie. Si credeva di saper acquietare i giovani con la tecnica del “libero confronto d’ogni idea” che tutto smussava, si credeva di saperli aizzare contro altri bersagli (contro malanni antiquati, remoti, come il razzismo degli Stati del Sud: “la calata poetica del giovane ingegnere negli Stati del Sud gl’impediva di vedere il male del MIT”); si era rassicurati perché le loro menti erano bene impaniate nelle immagini erotiche di “Playboy” (all’insegna di: “provare senza impegno”). E all’improvviso, questa massa si rivolta contro il MIT…
Per ora i tecnocrati detengono saldamente il potere. Ma sono costretti a spartire con i conservatori l’amministrazione della cosa pubblica. Ne viene una conduzione politica ondeggiante fra le idee conservatrici e quelle moderate dei tecnocrati. Costoro sentono affinità coi loro figli, i radicali ribelli, i quali a loro volta condividono sì certe idee tecnocratiche ma per un altro verso amano la violenza e la giustificano, al pari dei conservatori estremisti, e come costoro mostrano talvolta disprezzo per la “tecnostruttura” presidiata dai moderati. I conservatori estremisti, in procinto di sparire, furono richiamati in vita dalle furie distruttrici dei radicali. Ma i conservatori credono pienamente anche loro ai valori tecnocratici industriali, benché siano poi i difensori dei valori rurali preindustriali e anche della libertà di educare i figli come si vuole. I tecnocrati moderati, difensori a parole della libertà di pensiero, vorrebbero sottrarre alle famiglie i ragazzi e irreggimentarli in un sistema di educazione che include, sotto specie di ipocrita educazione sessuale, l’oscenità coatta. Inorriditi dalle contraddizioni di costoro, si cade nella turba dei radicali ribelli, ma essi, ubriachi di parole, sono incapaci di assegnarsi dei fini precisi, inetti a criticare il benessere tecnocratico che pure, se trionfasse, rovinerebbe la loro rivolta.»
Elémire Zolla, Tiranni, ribelli e la macchina tecnocratica.