Il filosofo Mario Tronti, in questo testo del 1980, legge il decennio degli anni Settanta in Italia a partire dalla sua conclusione anticipata: il 1978. Un anno segnato dal ritrovamento il 9 maggio del cadavere di Aldo Moro e dalla scomparsa, poco dopo, di Paolo VI: due morti che segnano la fine del “decennio radicale”, e condizioneranno i mutamenti futuri della politica.
«Nello stesso senso in cui il ’68 fu un anno “di base”, cosi il ’78 è stato un anno “di vertice”: questo tutto giocato sul politico e dentro lo Stato, quello nel sociale e contro le istituzioni. La domanda di allargamento dell’orizzonte della politica, che saliva dal basso del decennio, ha avuto nel finale, come risposta, un regolamento di conti nei punti alti della macchina statale. In mezzo, tra quell’esplosione della contestazione giovanile e questa vendetta del sistema, c’è la storia del periodo, cioè c’è la politica di oggi, i comportamenti e i compiti del movimento operaio.
Emblematico è tutto quello che in quell’anno è finito. Due morti si collocano infatti al centro della scena. Moro e Montini (papa Paolo VI, ndr), e il loro modo di fare politica, erano stati anche, tra l’altro, una risposta al ’68. Questo non è stato infatti l’improvvisa insorgenza di un momento, ma il crescere a salti, a strappi, di un malessere, di un disagio, di un rifiuto riguardo agli approdi ultimi della civiltà capitalistica, negli anni sessanta e nel mondo. L’impatto critico si era sentito con le nuove generazioni delle società più sviluppate, ma anche con tutte le forze antagonistiche all’organizzazione di questa società, dagli operai di fabbrica ai popoli del Terzo mondo. Moro e Montini erano stati due protagonisti di questi anni, complesse figure critiche di un orizzonte di potere. Sensibilità al nuovo, antenne per captare i segnali del futuro, e cioè capacità di cogliere l’emergere di condizioni mai avvenute, che chiedono di rompere con la pigra gestione della tradizione: questo da un lato. Dall’altro lato, abilità, sapienza, gradualità, moderazione nell’incorporare, nell’incanalare, nel controllo, nel governo. Un grande senso del tempo, come luogo risolutore delle contraddizioni storiche. Secoli di storia della Chiesa e un trentennio di potere dc giocano qui il loro ruolo. Il movimento operaio, con il suo passato di lotte, di rivolte, di eroiche e sfortunate imprese, si trova svantaggiato nel confronto. Non ha la pazienza nel ritessere la tela che noi stessi, attraverso le cose, abbiamo disfatto. Viene il dubbio che per questo sono tutti così d’accordo nel togliere Lenin dal libro delle nostre azioni. In fondo è l’unico genio tattico che il movimento operaio abbia avuto: non a caso per primo ha mostrato che si può prendere al momento giusto la decisione di vincere.»
Mario Tronti, Il tempo della politica.