I tre “Racconti di Sebastopoli” apparvero in sequenza sulla rivista letteraria russa “Il Contemporaneo” tra il 1855 e il 1856 nel pieno della guerra di Crimea, e ne sono, per molti aspetti, un vero ‘reportage’. Fin dal primo racconto, “Sebastopoli nel mese di dicembre”, Tolstoj rappresenta la guerra in tutta la sua crudezza, mettendone in luce gli orrori.
«Vedrete là dottori con le braccia insanguinate fino al gomito e facce pallide, cupe, all’opera accanto a una branda, su cui a occhi aperti e pronunciando come in delirio parole insensate, talvolta semplici e toccanti, giace un ferito sotto l’effetto del cloroformio. I dottori sono intenti al compito rivoltante ma benemerito dell’amputazione. Vedrete un coltello affilato e ricurvo entrare nel bianco corpo sano; vedrete che con un grido terribile, straziante, e imprecando, il ferito rientra immediatamente in sé; vedrete l’infermiere buttare nell’angolo il braccio amputato; vedrete sdraiato, sulla barella, in quella medesima stanza, un altro ferito che, guardando l’operazione del compagno, si contorce e geme, non a causa del dolore fisico, ma per le sofferenze morali dell’attesa; vedrete spettacoli terribili, che sconvolgono l’animo; vedrete la guerra, non nella sua forma ordinata, bella e brillante, con la musica e il rullo del tamburo, con le bandiere al vento e i generali caracollanti, bensì la guerra nella sua più schietta espressione: nel sangue, nelle sofferenze, nella morte…»
Lev Tolstoj, I racconti di Sebastopoli.