Lo scrittore irlandese Colm Tóibín si confronta col mito di Clitemnestra che ordisce la vendetta sul marito Agamennone, il distruttore di Troia. Lui, il vincitore, che aveva sgozzato sull’altare la figlia Ifigenia, per ottenere il favore dei venti alle navi greche alla volta di Troia.
«Ho dimestichezza con l’odore della morte. L’odore nauseabondo e zuccherino che si diffondeva nel vento raggiungendo le stanze di questo palazzo. Adesso per me è facile essere serena e appagata. Ho passato la mattina a guardare il cielo e la luce cangiante. Il canto degli uccelli comincia a levarsi quando il mondo si colma di delizie e poi, al digradare del giorno, anche il suono digrada e svanisce. Guardo le ombre allungarsi. Tante le cose ormai disperse, ma l’odore di morte permane. Forse mi è entrato in corpo, gradito come la visita di un vecchio amico. L’odore della paura e del panico. Quell’odore è qui com’è qui l’aria; torna, come torna la luce al mattino. È compagno fedele; ha ridato vita ai miei occhi, occhi che l’attesa aveva intorpidito, ma non sono torpidi adesso, occhi che adesso un fulgore ravviva.
Ho dato disposizioni che i corpi restassero all’aperto sotto il sole un giorno o due finché quell’odore dolciastro non si fosse tramutato in puzza. E le mosche al loro arrivo mi sono piaciute, i corpicini perplessi e audaci ronzavano dopo il banchetto, turbati dalla fame inesausta che sentivano dentro, una fame che avevo finito col conoscere, e con l’apprezzare, anch’io.
Abbiamo tutti fame, adesso. Il cibo serve solo a stimolarci l’appetito, ad affilarci i denti; la carne ci rende voraci di altra carne, come la morte è vorace di altra morte. L’omicidio ci rende voraci, colma l’anima di una soddisfazione che è brutale e poi appetitosa quel tanto da stuzzicare il gusto per altre soddisfazioni.»
Colm Tóibín, La casa dei nomi.