L’elegia, attribuita a Teognide, riflette sull’unica “areté” (virtù) apprezzata dagli uomini: il denaro. Non la saggezza di Radamanto, non l’astuzia di Sisifo, e nemmeno l’eloquenza di Nestore, la velocità delle Arpie e di Zetes e Kalais, i figli di Borea.
Ecco la sola qualità che vale
per la massa degli uomini: il denaro.
A niente servirebbe, tutto il resto:
nemmeno essere saggi come il grande
Radamanto, o saperne più di Sisifo,
– Sisifo, il figlio di Eolo, tanto astuto
che risalì l’Inferno: con le sue
belle parole seppe persuadere
Persefone, che tutto fa scordare
e inebetisce gli uomini; e nessuno
osò mai concepire quest’idea,
fra i tanti che coprì la nera nube
della morte e che giunsero all’oscura
terra di chi è finito, oltre la soglia
buia che serra le anime dei morti,
benché vogliano vivere; ma Sisifo,
l’eroe, fu tanto astuto da riuscire:
e di là ritornò, e rivide il sole –
e a niente servirebbe, se sapessi
inventare menzogne verosimili
come sapeva Nestore divino,
con il suo bel parlare; o se sapessi
correre ancor più svelto delle Arpie
rapide, ancor più svelto dei veloci
figli di Borea. Ecco la verità,
e tutti quanti fatene tesoro:
solo il denaro, a questo mondo, importa.
Solo il denaro importa, Elegie, 699-718, trad. di F. Condello