È la prima poesia di “Ogni Caso”, del 1972, che la critica considera un “particolare un contributo alla poesia filosofica” (Czesław Miłosz), o “una prova di metafisica poetica” (Stanisław Balbus). Ma Wisława Szymborska affermava che “le persone si istupidiscono all’ingrosso, e rinsaviscono al dettaglio. Dunque amiamo e sosteniamo i casi al dettaglio”. E allora la sua ci appare una “riflessione sul senso dell’esistere è caratterizzata da una ‘semplicità complessa’, e cioè dalla capacità di interrogarsi con formulazioni chiare, che non necessitano del sostegno delle ‘grandi costruzioni’”, come ci ricorda Pietro Marchesani, che ha curato “La gioia di scrivere. Tutte le poesie (1949-2009)”, la più ampia raccolta italiana delle opere della poetessa polacca, insignita nel 1996 del Premio Nobel per la Letteratura.
Poteva accadere.
Doveva accadere.
È accaduto prima. Dopo.
Più vicino. Più lontano.
È accaduto non a te.
Ti sei salvato perché eri il primo.
Ti sei salvato perché eri l’ultimo.
Perché da solo. Perché la gente.
Perché a sinistra. Perché a destra.
Perché la pioggia. Perché un’ombra.
Perché splendeva il sole.
Per fortuna là c’era un bosco.
Per fortuna non c’erano alberi.
Per fortuna una rotaia, un gancio, una trave, un freno,
un telaio, una curva, un millimetro, un secondo.
Per fortuna sull’acqua galleggiava un rasoio.
In seguito a, poiché, eppure, malgrado.
Che sarebbe accaduto se una mano, una gamba,
a un passo, a un pelo
da una coincidenza.
Dunque ci sei? Dritto dall’animo ancora socchiuso?
La rete aveva solo un buco, e tu proprio da lì?
Non c’è fine al mio stupore, al mio tacerlo.
Ascolta
come mi batte forte il tuo cuore.