Sergio Solmi è stato poeta e critico letterario, lasciandoci memorabili saggi su Leopardi. Allievo di Giacomo Debenedetti, è un profondo conoscitore della letteratura francese, da Montaigne ai maestri del moderno, quali Rimbaud, Mallarmé, Valéry. Torinese, ha condiviso l’ambiente culturale e politico legato alla figura di Piero Gobetti. Negli anni quaranta partecipa alla Resistenza, col nome di battaglia di Mario Rossetti. Il 2 gennaio 1945 viene arrestato a Milano, riesce a fuggire dal carcere ma è nuovamente catturato il 6 aprile. Di queste vicende è traccia nella sezione “Dal quaderno di Mario Rossetti” delle sue “Poesie”. Di sé stesso scrive: “la poesia di Solmi ha avuto il destino di una situazione appartata e solitaria, spesso fraintesa dalla critica per la sua difficoltà a essere classificata, di volta in volta, fra le correnti del tempo”. La poesia “All’Italia” è del 1945.
Quale novella luce
balugina sui monti, e gli occhi ammalia?
Al bagliore che a te mi riconduce,
ti riconosco, Italia.
Non ti sentivo più. Fu, per vent’anni,
come una nebbia accidiosa, un lungo
sfilar di volti sospettosi e ambigui,
un tetro carnevale. Una turrita
statua di calcestruzzo, idolo inane,
usurpava il tuo nome. Fragorosi
cortei attorno, irti di gagliardetti,
e voci altoparlanti, che cianciavano
d’Impero, di “immancabile vittoria”.
Sotto, le schiene curve, lo scudiscio,
i confinati in lunghe file, pena
e miseria e vergogna fatte occulte:
in alto, la retorica e la boria.
Venne un giorno, crollò l’idolo vano:
fra le case sventrate, rombi, fiamme,
urla, s’infranse in mezzo ai calcinacci.
Lo vedi a tratti dar gli estremi guizzi
fra i suoi tristi scherani agonizzando.
Ora, dissolta sei nell’aria pura
di primavera, e senza più vederti
nelle luci e profumi ti ritrovo
dei primi dì d’aprile.
E, benché rasentando i muri io vada
– un evaso, un bandito,
che ciascuno può uccider per istrada
solo se segnato a dito -,
più spigliato mi sento, più leggero,
che nei lunghi anni della greve mora.
No, ch’io non sogno illusi paradisi,
ma un mondo che assicuri
il riscatto, la dignità dei liberi;
vi regni il giusto senso della vita,
abbia ogni cosa l’esatta misura,
si dica pane al pane e vino al vino.
Ancor voglio servirti, Italia mia:
affrontarmi sul campo
con la morte vestita da battaglia.
Vaghi ricordi affiorano
nella mia mente, velati dagli anni.
Se fanciullo per te imbracciai il fucile
per te combatta ancora.
All’Italia