Home Cultura LE CITAZIONI: Sciascia. Il silenzio dei ‘popolani’

LE CITAZIONI: Sciascia. Il silenzio dei ‘popolani’

Leonardo Sciascia

by Ernesto Scelza
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Questo del 1962, è uno dei racconti “dispersi” di Sciascia, recuperato da Squillacioti e pubblicato nella raccolta postuma “Il fuoco nel mare”. Ci dice della “diversione” operata da Garibaldi per aprirsi la via di Palermo, mandando una colonna nel senso opposto per attrarre le truppe borboniche: è il silenzio della gente che, secondo Sciascia, fa il successo dell’operazione. “Il silenzio” ci ricorda il primo capitolo de “Il giorno della civetta” e testimonia dell’implacabile antisicilianismo della sua sicilitudine: silenzio o omertà: “Davanti a lui, in testa alla breve colonna, cavalcavano due uomini vestiti di nero, neri di faccia e di barba, neri di silenzio: campieri di un feudo della zona, persone di fiducia di un barone, rispettate e temute per la loro violenza. “Ecco che sono diventate persone di fiducia della rivoluzione” pensava il colonnello Orsini”.

 

«Avevano lasciato il paese che era ancora notte: ora erano al bivio tra la strada per Corleone e la trazzera per Marineo, e l’alba già faceva occhio. Il grosso della colonna svoltò per la trazzera. Il generale stava sul ciglio della strada: era sceso da cavallo e parlava con Türr e Orsini (…). Quel che Garibaldi, in quel momento, pensava, il colonnello Vincenzo Giordano Orsini non riusciva a capirlo… Raggiungere, con i trentadue carri, i pezzi di artiglieria, i feriti (e soltanto con una scorta di venti uomini validi) il comune di Giuliana: reclutare uomini, fortificare il luogo.(…) Orsini non si aspettava che una colonna di circa cinquemila uomini, il meglio dell’esercito borbonico in Sicilia, si mettesse all’inseguimento della sua piccola squadra; ma questo fatto assurdo si stava verificando, e dunque non bisognava dare all’avversario il tempo di riflettere, era necessario costringerlo all’inseguimento, trattenerlo. Garibaldi intanto avrebbe raggiunto La Masa, con gli uomini che La Masa teneva pronti sui monti sarebbe sceso ad investire Palermo. Una grande beffa (…). A mezza strada incontrarono i notabili di Sambuca… Il paese li aspettava in una animazione di festa (…). I feriti vennero trasportati nelle case dei popolani. “Voi capite” disse il dottor Navarro al colonnello “che, se vi inseguiranno fin qui, le nostre case saranno le prime ad essere perquisite… O saranno addirittura date al fuoco… E noi abbiamo pensato di alloggiare i feriti nelle case dei popolani: gente di cuore, e si farebbe ammazzare senza dire una parola…”.

“Avete pensato giusto” approvò il colonnello.

Lo accompagnarono alle case in cui erano stati sistemati i feriti: case di contadini e di artigiani, i letti alti incassati dentro alcove in muratura, quasi tutti sovrastati da una immagine della Madonna dell’Udienza, patrona del paese, da un ramoscello d’olivo, da una croce di palma. Intorno ai letti, su cui i feriti giacevano con occhi smarriti, erano i ragazzi; le donne si affaccendavano a preparare l’acqua calda, le bende, i cibi che i medici avevano ordinato. Il mobilio delle case si riduceva a un tavolo, poche sedie impagliate, un canterano con sopra la statuetta di San Calogero e qualche piatto, qualche tazza; alle pareti erano attaccati gli arnesi di lavoro: picconi, zappe, crivelli, tridenti. La luce, avara e vacillante, veniva da lucernette a olio.

Il colonnello si sentiva commosso: quei segni di greve miseria lo colpivano. Non aveva mai visto questa faccia dolente e squallida della sua terra. E più lo colpiva che in queste condizioni di vita, non diverse da quelle della capra, dell’asino, la gente conservasse intatti ed alti i sentimenti umani: la pietà, la gentilezza, il coraggio. E si chiese se davvero avevano il diritto di portare a gente simile nuove sofferenze, la violenza della guerra, il rischio della devastazione e del saccheggio: e in nome di che cosa. “In nome della libertà di scrivere dei libri, di pubblicare dei giornali, di eleggere dei rappresentanti?… E la libertà di non avere fame, di abitare in luoghi più umani, di vestire dignitosamente?”»

Leonardo Sciascia, Il silenzio.

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