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LE CITAZIONI: Rumiz, la resistenza delle donne alla guerra

by Ernesto Scelza
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Un mese dopo l’inizio dell’invasione russa all’Ucraina, nel marzo del 2022, su “Robinson” è apparso questo straordinario “reportage” di Paolo Rumiz dal fronte della guerra russo-ucraina, che racconta la resistenza delle donne. “La guerra non ha mai volto di donna, scrive Svetlana Aleksievic. E se la prima vittima di questa guerra in corso da un mese in Ucraina è la verità, la seconda sono proprio le donne, ucraine e russe alla stessa maniera.”

 

«Matuška Rossija, la Madre Russia simboleggiata dalla matrioska nei negozi di souvenir, è anche un mito sovietico, che Putin rilancia alla grande. È la rappresentazione, manipolata, della donna come madre degli eroi che difendono la patria e il regime. Mito demolito dalla scrittrice bielorussa Svetlana Aleksievic, premio Nobel, autrice di La guerra non ha volto di donna e di Soldati di zinco, sui reduci russi dall’Afghanistan, odiata sia dal potere moscovita che dai nazionalisti ucraini per aver narrato quelle storie da un punto di vista non nazionalistico e non virile. Novant’anni fa, Nadežda Mandel’štam dovette imparare a memoria le poesie del marito in un gulag siberiano, per poterle tramandare a noi. Sono le vedove dei poeti uccisi da Stalin ad aver garantito alla parola libera di sopravvivere in URSS.

Non la guerra, ma la resistenza alla guerra è femmina in Russia. Tutti hanno visto l’immagine di Jelena Andrejewna Ossipowa, sopravvissuta all’assedio di Leningrado, la vecchina col cartello “Pace nel mondo” trascinata via dalla polizia, o quella della giornalista Marina Ovsyannikova che interrompe una trasmissione della Tv di stato discendo “Protestate, non possono arrestarci tutti”. E Asya Maruket, leader di un movimento contro la guerra, scappata in Occidente, dove soffre a sentirsi sommariamente giudicata come guerrafondaia. E ancora Galina Timchenko, indomita responsabile del quotidiano indipendente online Meduza, costretta a emigrare in Lettonia. Non ci arrenderemo, ha dichiarato, ma siamo “in grande pericolo”, con i soldi contati, le carte di credito bloccate, senza visti e senza sapere che ne sarà di noi. E ha aggiunto: “In Russia la stampa indipendente è scomparsa, con milioni di cittadini che hanno disperato bisogno di informazione. La persecuzione del libero pensiero è iniziata a Mosca molto prima della guerra, perché serviva a preparare la guerra”.

(…) Se ti perdi nella smisurata campagna tra il Mar Bianco e il Mar Nero, trovi paesaggi umani spesso segnati dalla disillusione e dal bisogno, soprattutto da un enorme dislivello di consapevolezza fra i generi. Mentre troppi uomini dopo il crollo dell’URSS oziano o si ubriacano, le donne lavorano, zappano la terra nel tempo libero, si parlano, si aiutano, mostrano coraggio. In nessun altro luogo al mondo ho visto fra i sessi una differenza simile. Quella che in Occidente si incarna appunto nelle badanti, capaci di sfinirsi per due famiglie, le loro e le nostre, e poi di arare i campi tra le cannonate. Dovremmo erigere un monumento a queste eroine che fanno da ponte tra Est e Ovest. Anche se sono spesso laureate e più colte di noi, mi piace immaginarle piantate nelle zolle della terra, un piede sul Po e uno sul Volga, oppure sul Dnestr, sempre con gli stivali e il fazzoletto in testa di Arina Radionovna.»

Paolo Rumiz, La guerra non ha volto di donna.