I Roth vivono a Newark, New Jersey. Sono ebrei in un quartiere abitato quasi soltanto da ebrei. Nel romanzo, un candidato repubblicano notoriamente antisemita e simpatizzante della Germania nazista vince le primarie del partito, e batte nelle successive elezioni il presidente in carica, Franklin D. Roosevelt. Il nuovo presidente è Charles A. Lindbergh, l’eroe dell’aviazione che aveva compiuto la prima trasvolata dell’Atlantico in solitario, uno che oggi definiremmo “suprematista” o “sovranista”. “Il complotto contro l’America” è un romanzo “distopico”, una utopia negativa che racconta un futuro terribile ma non del tutto improbabile, in cui sono descritti i pericoli della deriva autoritaria e razzista di una società liberale e democratica.
«La paura domina questi ricordi, un’eterna paura. Certo, nessuna infanzia è priva di terrori, eppure mi domando se da ragazzo avrei avuto meno paura se Lindbergh non fosse diventato presidente o se io stesso non fossi stato di origine ebraica.
Quando ci fu la prima sorpresa – la candidatura alla presidenza di Charles A. Lindbergh, l’eroe dell’aria americano famoso in tutto il mondo, alla convention repubblicana di Philadelphia del giugno 1940 – mio padre era un assicuratore di trentanove anni, munito di licenza media, che guadagnava quasi cinquanta dollari la settimana, abbastanza per pagare in tempo le bollette più importanti, ma non abbastanza per permetterci altri lussi. Mia madre – che avrebbe voluto andare al teachers college ma non poté perché costava troppo, che vivendo con i suoi aveva lavorato come segretaria dalla fine delle superiori, e che ci aveva impedito di sentirci poveri nei momenti peggiori della Depressione amministrando i guadagni ricevuti da mio padre ogni venerdì con la stessa efficienza con cui dirigeva la casa – aveva trentasei anni. Mio fratello Sandy, che faceva la settima e mostrava un prodigioso talento per il disegno, aveva dodici anni e io, che ero avanti di un anno e facevo la terza elementare – e avevo cominciato a raccogliere francobolli, ispirato, come milioni di altri ragazzi, dal primo filatelico del paese, il presidente Franklin Delano Roosevelt -, avevo sette anni (…).
Eravamo una famiglia felice, nel 1940. I miei genitori erano persone socievoli e ospitali, con amici scelti tra i colleghi d’ufficio di mio padre e tra le donne che insieme a mia madre avevano contribuito a organizzare l’Associazione genitori-insegnanti nella nuova scuola di Chancellor Avenue, dove andavamo mio fratello e io. Erano tutti ebrei (…).
Fu nel novembre 1938… che il peggiore pogrom della storia moderna, la Kristallnacht, venne organizzato dai nazisti in tutta la Germania: sinagoghe date alle fiamme, le abitazioni e le ditte degli ebrei distrutte, e, nel corso di una notte che faceva presagire il mostruoso futuro, ebrei a migliaia strappati con la forza alle loro case e trasportati nei campi di concentramento. Quando gli suggerirono, come reazione a questa barbarie senza precedenti, perpetrata da uno stato sui suoi cittadini, di restituire la croce d’oro adorna di quattro svastiche conferitagli dal maresciallo dell’aria Göring a nome del Führer, Lindbergh declinò l’invito col pretesto che per lui rinunciare pubblicamente alla Croce di Servizio dell’Ordine dell’Aquila Tedesca avrebbe costituito “un’inutile offesa” alla leadership nazista.
Lindbergh fu il primo celebre americano vivente che imparai a odiare – proprio come il presidente Roosevelt fu il primo celebre americano vivente che mi insegnarono ad amare – e cosí la sua nomination da parte dei repubblicani come avversario di Roosevelt nel 1940 rappresentò l’attacco piú violento che fosse mai stato sferrato contro quella ricca dotazione di sicurezza personale che io avevo dato per scontata come figlio americano di genitori americani in una scuola americana di una città americana in un’America in pace col mondo.»
Philip Roth, Il complotto contro l’America.