“Althénopis è il nome della mia città natale. In origine il suo nome significava ‘occhio di vergine’. Ma pare che i tedeschi, durante l’occupazione, trovandola così imbruttita rispetto alle descrizioni di Mozart (riferite anche in una novella di Mörike) e di Goethe, le mutarono il nome in Althénopis, che starebbe appunto a significare ‘occhio di vecchia’.”
«La sera la nonna, mentre mangiavamo pancotto, che, a parte i rari e festosi castagnacci, era il nostro cibo quotidiano, o mentre, dandomi la mano, traversava la piazza per andare dalla sorella nel palazzo in fondo al villaggio – la più di lei fortunata sorella in quei tempi di guerra – mi raccontava le favolose storie dei santi martiri, e soprattutto delle sante martiri. Meno frequentemente quelle dei santi fondatori di Ordini. Oppure mi parlava dei poveri. Nel parlare dei poveri trovava accenti brutali – il povero vecchio addormentato sul pitale – tratti, parevano, da Zola o da Matilde Serao; ma, essendo semianalfabeta, li traeva invece dalla dimestichezza che aveva con tutte le miserie dei vicoli, che conobbi per la prima volta attraverso i suoi racconti. Per i poveri lei questuava un posto di lavoro, implorava un sussidio, esigeva una pensione, scongiurava i padroni di casa di pazientare, brigava per ottenere un ricovero nel tubercolosario, si faceva regalare il carbone e l’olio, lavorava a tombolo centrini che poi vendeva alle conoscenti, faceva file davanti agli uffici, scriveva lettere ai giornali – ricorreva allora alla sorella istruita – e, in tempi di guerre, raccoglieva maglie e coperte che, non fidandosi, non consegnava alla Croce Rossa, ma direttamente distribuiva alla ferrovia ai soldati che partivano per il fronte; per i poveri girava da un ufficio all’altro, faceva sdegnose ore di anticamera, ungeva e bistrattava eserciti di uscieri, entrava con foga negli uffici del sindaco, degli assessori, degli ingegneri, dei medici, degli avvocati. Non dei notai. Sfruttando tutte le amicizie dei parenti, dei figli, dei generi e di tutti gli uomini della famiglia, che usavano dire: “Che figura ci fa fare!”, ma condiscendevano, timorosi. Soleva durante i bombardamenti pregare coram populo nei rifugi antiaerei o nel Tunnel di Caporetto.
Pur descrivendo i poveri con realismo, evocava attorno ad essi un’aura splendente e celestiale. Se non ci fossero stati i poveri infatti, così mi lasciava intendere, il mondo sarebbe stato ben più povero, perché avrebbe significato che avevano vinto i prepotenti, i grandi della terra, che il mondo era fatto di solo arbitrio. Chi allora le sarebbe stato fratello, sorella?
Lei poi era predestinata ad occuparsene. Non era forse discendente di santa Chiara? La povera sorella di suo padre non era stata strappata alla madre, alle sorelle, all’avito castello di Sterpeto perché la rinchiudessero nel convento delle Clarisse? E i casi della vita e della famiglia non si erano dati convegno, affinché ella, dalla mistica Umbria, arrivasse per servire fino ad Althénopis, la città benedetta per il gran numero dei suoi poveri?»
Fabrizia Ramondino, Althénopis.