Queste considerazioni sull’agire politico sono contenute nel saggio che è raccolto nei “Moralia” ed esprime la sintesi della concezione della politica alla base della tradizione classica.
«Ma al di là di tutte queste considerazioni, bisogna ricordare che fare politica non è solo ricoprire una carica pubblica, prender parte a un’ambasceria, gridar forte in assemblea e agitarsi sulla tribuna discutendo o presentando decreti, che è poi ciò che la gente intende per fare politica, così come pensa che i filosofi siano quelli che dissertano dalla cattedra o che fanno lezione commentando i libri, mentre le sfugge del tutto quella politica e quella filosofia, che ugualmente si può osservare nell’assiduità quotidiana delle opere e delle azioni. E la riprova è che vengono definiti “peripatetici”, come sottolineava Dicearco (fr. 29 W.), quelli che passeggiano su e giù per i portici, mentre quelli che si recano al podere o da un amico non lo sono più. Socrate faceva filosofia senza disporre banchi o sedere in cattedra, senza rispettare orari stabiliti per la lezione o la passeggiata con i discepoli, ma nel bel mezzo d’un gioco, se capitava, o d’una bevuta in compagnia, mentre partecipava a una spedizione militare o si trovava in piazza con alcuni di loro, e da ultimo quand’era in catene e beveva il veleno: per primo mostrò che la vita, in ogni sua parte e momento, in ogni circostanza e attività, è sempre aperta alla filosofia. Così si deve ragionare anche nei confronti della politica: gli stolti non fanno politica nemmeno quando sono strateghi, segretari o oratori pubblici, ma agiscono da demagoghi, da imbonitori, da sediziosi, e se s’accollano qualche liturgia è perché vi sono costretti, mentre chi è animato dal sentimento della comunità, da amore per l’uomo e la patria, chi ha a cuore le sorti della sua città ed è politico nel senso vero della parola, anche se non riveste la clamide, fa sempre politica, stimolando i potenti, guidando chi ha bisogno di guida, assistendo chi deve prendere le decisioni, dissuadendo i malvagi, incoraggiando gli onesti, mostrando chiaramente di non prestare una distratta attenzione agli affari pubblici e non andando a teatro o in Consiglio, quando c’è un’urgenza o una convocazione, per prender posto in prima fila, e neanche per divertirsi, una volta dentro, come se stesse assistendo a uno spettacolo o a una lettura pubblica, ma, anche se non è presente di persona, lo è in spirito, e si tiene informato sulle decisioni che vengono prese, approvandone alcune e manifestando per altre il suo disappunto.»
Plutarco, Se un anziano debba fare politica, 796c-797a; (trad. di Giuliano Pisani)