“Tra le “Vite” di Plutarco, la “Vita di Solone” è una di quelle che rievocano con più intensità la Grecia arcaica. Sullo sfondo conosciamo le lotte tra i fautori della democrazia e dell’oligarchia, la tensione tra i ricchi creditori e i poveri debitori. Solone è il simbolo dell’uomo “medio”, al quale le forze contrapposte dello stato affidano il compito di stabilire le leggi della convivenza civile”. In questo capitolo XXIX emerge come il potere considera spesso con fastidio e disprezzo – come attività improduttive – la musica, il teatro e la poesia: tanto emerge dall’atteggiamento di Solone nei confronti di Tespi.
«Intanto, durante l’assenza di Solone, tutta la città si era divisa in partiti. Licurgo era a capo dei Pediei (“Quelli della pianura”, ndr), Megacle, figlio di Alcmeone, dei Parati (“Quelli del litorale”, ndr), e Pisistrato dei Diacri (“Quelli della montagna”, ndr), cui si era aggiunta la turba dei mercenari, massimamente ostili ai ricchi; e benché la cittadinanza obbedisse alle leggi di Solone, un desiderio di mutazioni e una voglia di grandi novità eccitava tutti; perché attraverso tanto sconvolgimento non vi erano finalità di giustizia, ma di fazioso vantaggio e di assoluta superiorità sugli avversari.
Mentre duravano queste turbolenze, Solone, tornato in Atene, fu molto onorato da tutti i cittadini; ma indebolito dalla vecchiaia, non aveva più come una volta l’energia e la prontezza per agire e per parlare in pubblico, e perciò si abboccava privatamente con i capi delle fazioni e si studiava di comporre i dissidi, tanto più che Pisistrato pareva che gli desse retta più degli altri. Questi parlava con dolcezza, aveva sembiante di giovare ai poveri ed era mite con gli avversari; e oltre a ciò, fingendo di possedere le qualità che natura non gli aveva largito, faceva credere di poterne disporre come quelli che ne erano veramente dotati: onde era giudicato amante dell’eguaglianza e non disposto a sopportare novità e mutazioni nello stato. E con questi suoi modi ingannava il popolo.
Ma Solone ne intese subito i segreti sentimenti e accortosi prima di tutti delle insidie che nascondeva, non lo tenne lontano con l’odio, ma tentò di ricondurlo a sani propositi, dicendo a sé stesso e agli altri che se si fosse potuto strappargli dall’anima il desiderio dì farsi principe e la propensione alla tirannide, nessuno più di lui sarebbe stato fatto da natura per la virtù.
In quel tempo Tespi aveva già cominciato a diffondere la tragedia e con quella nuova forma di spettacolo, pur non essendo ancora pervenuto ad una forma di gara, attraeva l’attenzione dei cittadini. Solone, che per natura era desideroso di sapere e di vedere, e per l’età sua si era dato di preferenza alla vita tranquilla, ai giuochi, al bere e alla musica, volle conoscere Tespi, che secondo l’uso antico era anche attore nelle sue tragedie.
Finito lo spettacolo, lo chiamò in disparte e gli domandò come mai alla presenza di tanta gente non si vergognasse di mentire a quel modo; ma quegli gli rispose che non vi era nulla di male nel dire e nel fare ciò che diceva e faceva per giuoco. Allora Solone, battendo a terra il bastone, soggiunse: – Ben presto queste menzogne le constateremo anche negli affari.»
Plutarco, La vita di Solone. (Traduzione di Almerico Ribera).