Nel dialogo, Platone fa incontrare Socrate con Gorgia, maestro di retorica. Gorgia fa un’ampia esaltazione del potere e della capacità persuasiva della retorica, che è in grado di riuscire anche là dove gli esperti falliscono. È necessario, però, farne uso con giustizia e non deve essere ritenuta responsabile del cattivo uso che altri possono farne. Ma Socrate avanzerà le sue obiezioni…
«(Gorgia): E se tu sapessi tutto, Socrate, (ti meraviglieresti) che la retorica in sé comprenda, per così dire, tutte le potenze e tutte le abbia in suo dominio. Te ne darò una notevole prova: più di una volta, insieme a mio fratello e ad altri medici, andato a casa di qualche ammalato, che non voleva bere la medicina o si rifiutava di farsi tagliare o cauterizzare dal medico, mentre il medico non riusciva a persuaderlo ci riuscii io, con nessun’altra arte se non con la retorica. Ecco perché posso dire che in qualsivoglia città vadano un retore e un medico, se una discussione si aprisse nell’assemblea popolare o in un’altra riunione qualsiasi, per decidere quale dei due debba essere scelto in qualità di medico, il medico non comparirebbe affatto, mentre il retore, se lo volesse, verrebbe eletto. E così, se il retore si trovasse a concorrere con qualsiasi altro tecnico, più di ogni altro riuscirebbe a farsi scegliere, poiché non v’è materia su cui non riesca più persuasivo di qualsiasi competente di fronte a una massa di persone: tale e tanto grande è la potenza dell’arte. Certo, Socrate, bisogna usare la retorica come si usa una qualsiasi altra tecnica agonistica. Ogni altra tecnica agonistica non si deve, infatti, indiscriminatamente usare contro tutti: chi abbia appreso il pugilato o il pancrazio o il maneggio delle armi, sì da essere superiore a tutti, amici e nemici, non per questo deve colpire, ferire, uccidere gli amici. D’altra parte, per Zeus, se uno abbia frequentato a lungo le palestre, e, fisicamente robusto, sia divenuto pugile, e per tale sua forza si metta poi a battere il padre, la madre, gente di casa, e amici, non per questo dobbiamo odiare ed espellere dalle città i maestri di ginnastica e di armi. In realtà tali maestri hanno trasmesso l’arte, perché i discepoli ne facessero un giusto uso contro i nemici, contro chi agisce ingiustamente, per difendersi non per offendere: solo che certi discepoli rovesciano in male l’uso della propria forza e dell’arte. Non i maestri sono, dunque, i malvagi, né, per questo, colpevole e malvagia è l’arte loro, ma colpevole, penso, è chi non usa l’arte rettamente. Lo stesso discorso si ripeta ora per la retorica. Il retore è, senza dubbio, in grado di parlare contro tutti su tutto, sì da persuadere, in breve, la massa su tutto quello che vuole: solo che non deve per questo, perché ne ha le possibilità, distruggere la reputazione dei medici e degli altri professionisti, anzi deve fare uso della retorica secondo giustizia, sì come, dico, si deve usare ogni altra arma. Se poi uno, divenuto abile retore, usa tale sua potenza e tale sua arte per fare il male, non per questo, io penso, dobbiamo odiare il maestro ed espellerlo dalla città. Il maestro ha trasmesso la propria arte per una giusta causa, l’altro ne fa, invece, l’opposto uso. Giusto è, dunque, odiare, esiliare, uccidere chi dell’arte faccia uso scorretto, non chi se ne sia fatto maestro.»
Platone, Gorgia, XI 456a-457c (trad. Francesco Adorno).