George Orwell, che ci ha lasciato una grottesca satira della rivoluzione degenerata in dittatura con “La fattoria degli animali”, e una allucinata distopia negativa del futuro dominato dal “Grande Fratello” con “1984”, è stato un acuto saggista politico. Lo scritto citato, confluito in “Nel ventre della balena e altri saggi”, è una analisi del nazionalismo, ma anche una dura condanna dei nazionalisti britannici, che prima dell’invasione tedesca dell’Inghilterra avevano guardato con favore l’emergere dei fascismi in Europa in funzione anticomunista.
«Per “nazionalismo” intendo soprattutto quell’abitudine a pensare che gli esseri umani possano essere classificati come insetti, e che interi blocchi di milioni o decine di milioni persone possano tranquillamente essere etichettati come “buoni” o “cattivi”. Ma intendo anche – aspetto molto più importante – quell’abitudine a identificare sé stessi in una singola nazione o in un’unità di altro tipo, collocandola al di là del bene e del male e non riconoscendo altro dovere che la promozione dei suoi interessi. (…) Il nazionalismo è inseparabile dal desiderio di potere. L’obiettivo costante di ogni nazionalista è quello di assicurarsi maggior potere e maggior prestigio, non per sé stesso ma per la nazione o quell’altra unità nella quale ha deciso di dissolvere la propria individualità.
(…) Il nazionalista è colui che pensa esclusivamente – o principalmente – in termini di prestigio competitivo. Può essere un nazionalista in senso positivo o negativo – ossia usare la propria energia mentale per sostenere o denigrare –, ma i suoi pensieri saranno sempre di vittorie, sconfitte, trionfi e umiliazioni. Concepisce la storia – soprattutto quella contemporanea – come un continuo sorgere e tramontare di grandi unità di potere, e interpreta ogni evento come la dimostrazione dell’avanzamento della sua parte e della retrocessione di qualche odiato rivale. Ma è importante non confondere il nazionalismo con il culto del successo. Il nazionalista non segue il principio per cui ci si unisce semplicemente al più forte. Al contrario, dopo aver scelto da che parte stare, si persuade che è la più forte, e rimane saldo nelle proprie credenze anche quando i fatti le contraddicono palesemente. Il nazionalismo è pertanto sete di potere unita all’autoinganno. Ogni nazionalista è capace della massima disonestà, ma è anche fermamente convinto – credendo di servire qualcosa più grande di lui – di essere nel giusto.
(…) Ogni nazionalista è perseguitato dalla credenza che il passato possa essere alterato. Passa parte della propria vita in un mondo di fantasia in cui le cose succedono come dovrebbero – in cui, per esempio, l’Invincibile Armata fu vittoriosa o la rivoluzione russa venne soffocata nel 1918 – e, non appena ne ha occasione, trasferisce frammenti di questo suo mondo nei libri di storia. Molti scritti propagandistici del nostro tempo non sono che semplice contraffazione. Vengono occultati i fatti reali, le date sono alterate e le citazioni sono estrapolate dal loro contesto e aggiustate in modo tale da assumere un altro significato.
(…) Se odiamo e temiamo la Russia, se siamo gelosi della ricchezza e del potere dell’America, se disprezziamo gli ebrei, se proviamo un sentimento di inferiorità verso la classe dirigente britannica, non possiamo sbarazzarci di questi sentimenti semplicemente prendendoli in considerazione. Ma possiamo perlomeno riconoscere di provarli, impedendogli di contaminare i nostri processi mentali. Dovremmo riuscire a far convivere gli inevitabili impulsi emotivi – forse anche necessari all’azione politica – con l’accettazione della realtà. Ma questo, ripeto, richiede uno sforzo morale.»
George Orwell, Appunti sul nazionalismo (1945).