La scorsa estate, alla vigilia della morte attesa con serenità, Michela Murgia ha trascorso una settimana a raccontarsi a Beppe Cottafavi, suo editor e amico. Qui ricorda il suo incontro con Danilo Dolci.
«Nella mia infanzia c’è un incontro piuttosto curioso. Lui era in vacanza in Sardegna. È entrato nel negozio di artigianato di mia madre. Io la mattina andavo a scuola, il pomeriggio passavo il tempo lì.
Appare questo signore vestito di bianco, anziano (io non ho idea di chi sia), che cerca di capire cosa sto facendo dietro il banco. Mi osserva mentre sto scrivendo un tema: “Posso leggerlo?”. Gli allungo il quaderno, lui legge e mi chiede se ci sia qualcuno in casa con cui possa parlare. Chiamo mia madre e le dico che c’è un signore che le vuole parlare. “Sua figlia è molto brava a scrivere, io sono un educatore, ho una scuola a Mirto, in Sicilia, dove d’estate ospito centinaia di ragazze e ragazzi per brevi periodi di studio. Stanno tutti assieme e sarebbe bello se anche sua figlia potesse venire.” Mia madre è una donna militante, riconosce Danilo Dolci, sa chi sia. È una sorta di Gandhi italiano, famoso per le sue lotte non violente. Sa che è l’uomo che ha consentito la nascita della legge sull’obiezione di coscienza, un uomo che ha scelto un territorio che non è il suo, difficile, mafioso, per lavorare con i ragazzi. Nella Sicilia occidentale, a Partinico, dove promuove lotte non violente contro la mafia, la disoccupazione, l’analfabetismo e la fame endemica, in luoghi martoriati dall’assenza dello Stato e dalle disparità sociali, per l’affermazione dei diritti umani e civili fondamentali. Gli dice di no. Sa benissimo che mio padre non autorizzerà mai che io vada in Sicilia per una vacanza studio.
La cosa davvero curiosa è che quando il signore se ne andò, mamma prese la mia antologia e nell’indice dei nomi alla fine del testo trovò quello di Danilo Dolci. C’era una sua poesia. Me la lesse e mi disse: “L’ha scritta quel signore che è appena uscito da qua”. Quel suo verso, “Ciascuno cresce soltanto se sognato”, me lo sono scolpito nella memoria, come una frase guida.
Abbiamo bisogno di immaginarci nel futuro, ma anche di essere immaginati dagli altri. Abbiamo bisogno della loro fiducia, della loro presenza e del loro sguardo positivo. Per me il focus era sulla parola crescere e sull’essere sognati. Perché in casa mia non mi sognava nessuno. Che uno potesse cercarsi qualcuno che lo sognasse per poter crescere è un’idea in cui ho creduto per un sacco di tempo. E ho continuato a crederci, e a praticarla, anche quando ho cominciato a prendere, educare, affiliare i ragazzi. Ora penso che quella frase sia piuttosto una trappola. Perché attribuisce a chi sogna un potere sul sognato. Deve accadere il momento di catarsi in cui tutti e due, l’educando e l’educatore, si svegliano dal sogno, sennò il processo educativo non solo non si compie, ma implode. Ti trasforma e fa di te un guru. Perché non riesce a renderti dispensabile a chi è bisognoso. È il passaggio fondamentale perché i rapporti evolvano.»
Michela Murgia, Ricordatemi come vi pare. In memoria di me.