“Si racconta qui l’apprendistato di un gruppo di insegnanti di media cultura ed umanità per conoscere le periferie della città e le periferie dell’animo degli adolescenti, cercando di stabilire con loro un dialogo educativo e di vita” (Carla Melazzini). Vi si parla di ragazzi che frequentano una scuola speciale, e di chi se ne prende cura in uno dei quartieri più popolari e popolosi di Napoli dov’è in vigore il “Sistema”; alle cronache piace chiamarli “il triangolo della morte”. Carla Melazzini è morta nel 2009. Due anni dopo, il marito Cesare Moreno, uno dei motori del progetto “Maestri di Strada”, ha raccolto parte dei suoi scritti in questo volume.
«Questo è il racconto scritto da una bambina bocciata in seconda elementare (la trascrizione è fedele, salvo l’unico aspetto irrilevante, quello in grazia del quale evidentemente è stata bocciata: gli errori di scrittura).
“C’era una volta un fiore che non voleva essere un fiore, allora la fata dei fiori disse: “Se tu vuoi diventare un essere umano io ti accontenterò ma se non ti piace, ti dovrai rassegnare perché non potrai più essere un fiore”.
Il fiore accettò e la fata lo toccò con la bacchetta e lo trasformò in un essere umano.
“Il fiore si rese conto che la vita era difficile. La fata allora lo fece diventare un tulipano finto, per non farlo morire, poi scomparì per sempre”.
Ho chiesto a un compagno di classe: “Secondo te che cosa ha voluto dire Concetta con il suo racconto?”.
“Che il fiore non voleva morire e così la fata lo ha fatto diventare immortale”.
“Però l’ha trasformato in un tulipano finto! È meglio essere una persona umana e morire o essere un fiore finto e non morire mai?”.
“È meglio morire”.
Spunti di interpretazione forniti da una esperta: il fiore è bello ma fragile, può sbocciare o appassire. In esso la bambina può aver identificato la propria parte istintuale, che ripudia: il fiore non vuole essere fiore.
Crescere, diventare “essere umano”, si può fare solo con il ripudio senza appello delle pulsioni profonde. Il fiore ci prova, ma scopre che è troppo difficile. Il risultato di questa esperienza dolorosa è un compromesso: il fiore non viene annientato, ma consegnato all’immortalità artificiale del tulipano finto. Il tulipano è un fiore chiuso su sé stesso, la sua immagine suggerisce ciò che gli psicologi chiamano “falso Sé”, una identità artificiosa costruita sulla rinuncia e sulla paura. Chi aiuterà questa bambina a diventare “essere umano”?»
Carla Melazzini, Insegnare al principe di Danimarca.