Il testo, di forte ispirazione rousseauiana, è pubblicato anonimo a Londra nel maggio del 1774, durante la campagna elettorale per la Camera dei Comuni. Il futuro capo giacobino non vi si mostra affatto soggiogato dal “mito inglese” che, sulla scia di Montesquieu, si era imposto nella Francia illuminista del Settecento. Marat sarà assassinato dalla girondina Charlotte Corday nel 1793.
«Pare che la sorte che accomuna tutti gli uomini sia quella di non poter godere della libertà: in ogni dove, i prìncipi aspirano al dispotismo e i popoli sprofondano nella servitù.
La storia del dispotismo trabocca di eventi insoliti: da un lato, osserviamo gli spavaldi progetti di alcuni uomini ambiziosi, i loro infami tentativi e le energie nascoste che essi scatenano per instaurare un dominio illegale; dall’altro lato, vediamo i popoli che, mentre si stanno riposando all’ombra delle loro proprie leggi, divengono schiavi. Scorgiamo gli sforzi vani che una moltitudine sventurata fa per affrancarsi dall’oppressione, e i mali senza numero connessi alla schiavitù. Scene ad un tempo orribili e magnifiche, nelle quali appaiono, alternativamente, pace, abbondanza, svaghi, pompa, feste, discordie, miseria, sotterfugi, perfidia, tradimento, esilî, lotte e massacri.
(…) Il popolo non è mai volontariamente schiavo: si piega non al potere, ma quando crede che farlo sia un dovere, o quando non è in condizione di opporsi. Onde, in uno Stato appena fondato o riformato, i sudditi non sono subito resi schiavi, per quanto imperfetta possa essere la costituzione. La disperazione, che li spinge in un primo momento a scuotere il giogo, li spingerebbe a scuoterlo di nuovo ogni volta che essi dovessero sentirne il peso. Cominciare con attacchi espliciti alla libertà, tentando di distruggerla con la violenza, si rivelerebbe perciò un’impresa malagevole. Quando chi governa ha l’ardire di impadronirsi del potere supremo con azioni palesi, e il popolo si accorge dei tentativi dei suoi governanti di ridurli in schiavitù, quest’ultimo prevale sempre e il Principe in un attimo perde il frutto di tutti i suoi sforzi. I sudditi, di fronte a questo primo tentativo, si uniscono contro di lui e la sua autorità risulta in pericolo se egli non tiene una condotta umile anziché arrogante. Il primo tentativo di rendere schiavo il popolo da parte dei Principi non si attua quindi mediante attacchi aperti; costoro prendono le loro misure in segreto, usano la scaltrezza e portano avanti il loro piano con sforzi lenti ma costanti, cambiamenti quasi impercettibili e innovazioni delle quali è difficile prevedere le conseguenze e che a malapena si possono scorgere.»
Jean-Paul Marat, Le catene della schiavitù.