Norman Lewis è un giovane ufficiale inglese quando sbarca a Salerno/Paestum nel settembre del ’43. Scrive un diario che pubblica trent’anni dopo e che testimonia fino a che punto l’8 settembre non ha rappresentato solo la nostra definitiva sconfitta militare ma una crisi di tale portata da far quasi temere la fine dell’Italia come nazione.
«Abbiamo preso possesso di una fattoria disabitata. Sparse dappertutto c’erano le tracce di una partenza precipitosa: indumenti buttati alla rinfusa, letti sfatti, una bambola con le gote rosa sul pavimento. Centinaia di soldati italiani che avevano gettato le armi si trascinavano lungo la linea ferroviaria, diretti alle loro case nel Sud. Quasi tutti avevano i piedi ridotti in condizioni atroci, con il sangue che spesso colava dal cuoio spaccato degli scarponi; erano euforici, e per tutto il giorno ci è arrivata l’eco di risate e canzoni. Ho parlato con uno di loro e gli ho dato qualche pezzo di formaggio recuperato dalle razioni K che, una volta svuotate dei dolciumi, vengono buttate via a migliaia. In cambio, lui mi ha regalato un minuscolo pezzetto di stoffa sgargiante, strappato da una striscia che aveva cavato di tasca. Proveniva dal mantello di una Madonna miracolosa di Pompei, e portandolo addosso sarei stato invulnerabile alle pallottole per almeno un anno. “Non si sa mai, può venirti buono” ha detto, e io ne ho convenuto. Mi sono profuso in ringraziamenti, poi ci siamo separati con una stretta di mano. Stasera, mentre ci mettevamo in coda per il rancio, alcuni americani della 45a Divisione ci hanno detto di aver ricevuto dai loro ufficiali l’ordine di non fare prigionieri tedeschi e anzi di finire col calcio del fucile quelli che tentano di arrendersi. Stento a crederlo.»
Norman Lewis, Napoli ’44.