Christopher Lasch è stato uno dei più influenti intellettuali statunitensi della seconda metà del secolo scorso, e uno dei primi a interrogarsi sulle ragioni della perdita di “appeal” dell’élite liberal sulla gente comune. In questo testo si scaglia contro uno dei “miti” coltivati da questa élite progressista: la sua stessa idea di progresso.
«Come può accadere che delle persone serie continuino a credere nel progresso, malgrado le importanti confutazioni che parevano aver liquidato una volta per tutte la validità di questa idea? Il tentativo di spiegare questa anomalia – il persistere della fede nel progresso in un secolo pieno di calamità – mi ha riportato indietro al diciottesimo secolo, quando i fondatori del moderno liberalismo cominciarono a sostenere che i bisogni umani, essendo insaziabili, richiedevano un’espansione indefinita delle forze produttive necessarie per soddisfarli. Il desiderio insaziabile, precedentemente condannato come fonte di frustrazione, infelicità e instabilità spirituale, veniva ora visto come un potente stimolo allo sviluppo economico. Invece di condannare la tendenza a volere di più di quello che ci serve, i liberali come Adam Smith argomentarono che i bisogni variavano da una società all’altra, che agli uomini e alle donne civilizzati occorreva di più di quello che bastava ai selvaggi per star bene, e che una continua ridefinizione degli standard di benessere e di agio avrebbe portato a miglioramenti nella produzione e a un generale aumento della ricchezza. Non sembrava prevedibile che il processo di trasformazione dei lussi in necessità potesse aver fine… L’elasticità della domanda sembrava fornire solide basi all’idea angloamericana di progresso, basi che gli eventi successivi, fra cui le due guerre mondiali, non riuscirono a scuotere. Quelle guerre, anzi, diedero allo sviluppo economico un rinnovato vigore.
La nostra visione del passato e del futuro è caratterizzata dalla convinzione che il nostro standard di vita (nel significato più ampio del termine) sia destinato a un costante miglioramento, da cui trae origine una struggente nostalgia per la semplicità passata – che è l’altra faccia dell’ideologia del progresso. La nostalgia, che non deve essere ridotta al semplice ricordo delle cose passate, può essere meglio definita come una abdicazione della memoria… Profondamente radicato nella cultura popolare come nella sociologia accademica, l’atteggiamento nostalgico tende a sostituire l’analisi storica con le tipologie astratte – società “tradizionale” e “moderna”, Gemeinschaft (= comunità, ndr) e Gesellschaft (= società, ndr) – che interferiscono sia con una ricostruzione intelligente del nostro passato che con una valutazione equilibrata delle nostre prospettive future. Adesso che abbiamo cominciato a renderci conto dei limiti ambientali della crescita economica, dobbiamo sottoporre l’idea di progresso a una critica rigorosa: ma una visione nostalgica del passato non fornisce i materiali per questa critica. Ci dà solo un’immagine riflessa del progresso, una visione unidimensionale della storia, in cui gli unici punti di riferimento sono un pessimismo malinconico e una sorta di ottimismo fatalistico, una critica del progresso che trae origine dal contrasto fra le complesse società moderne e le comunità compatte che consideriamo tipiche del “mondo che abbiamo perduto”.»
Christopher Lasch, Il paradiso in terra. Il progresso e la sua critica.