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LE CITAZIONI: Lanzetta, la grande bellezza

by Ernesto Scelza
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“È una testimonianza piena d’amore per questa Napoli del degrado, dell’angoscia, della disperazione; come se nella prosa di Lanzetta ci fosse implicita una richiesta di soccorso, un urlo di denuncia che già si sa rimarrà inascoltato”: così Renzo Arbore, nella prefazione a “Figli di un Bronx minore”.

«Rivedere Lucio Dalla alla Pignasecca, mangiare una pizza piegata a libretto lì in piedi fra migliaia di persone che camminavano nervosi, allegri, tristi, pensierosi, chi guardando il cielo, chi toccandosi il portafoglio per vedere se stava ancora lì o qualcuno magari l’aveva rubato: era quella la grande bellezza.

Immaginare i consiglieri regionali del Lazio, della Sicilia, della Campania, della Liguria, della Lombardia, dell’Abruzzo affogare in un mare di merda e chiedere aiuto ma non c’era nessuno pronto a dare loro una mano: era quella la grande bellezza.

Un duetto fra Mia Martini e John Lennon a Piazza Salimbeni a Siena, davanti alla sede del Monte dei Paschi di Siena e vedere i dirigenti della banca e quelli della Fondazione sentirsi dei vermi per gli ammanchi che vi erano stati, per le truffe perpetrate, per gli imbrogli ai danni di azionisti: era quella la grande bellezza.

Veder resuscitare i morti del terremoto dell’Aquila e insorgere e rivoltarsi contro quelli della Protezione civile che avevano tentennato, convinti che con una buona scossa si sarebbero arricchiti. Gli studenti che alloggiavano nella “casa dello studente” presentarsi davanti agli sciacalli con i loro testi universitari in mano, chi con la tesi pronta, chi con le mutande da metter in valigia prima di partire, chi con un sms inviato alla fidanzata a Teramo o a Pescara: era quella la grande bellezza.

La bellezza dell’isola della Maddalena, offesa da un sontuoso G8 per far quadrare i conti delle aziende di amici degli amici, sodali, compari, comparielli, ‘ndranghetisti, mafiosi, camorristi, predatori del bello, dell’immenso, dell’infinito, del tutto.

Le rabbie e le bombe di quelli che si asserragliavano disperati nelle sedi dell’Equitalia convinti di aver già pagato tanto, troppo, abbastanza, in un’Italia che stava a guardare e se ne strafregava delle condizioni dei meno abbienti, degli operai, di un ceto medio che ormai non c’era più, che impugnava forconi, mazze, scope, mazze da baseball, pale, cinghie, catene, odi, urla, veleni: era quella la grande bellezza. Sognare la morte di coordinatori di partiti.

(…) I ragazzi del Sud Italia, di Catania o Cefalù, di Gioia Tauro o di Portici, di Salerno o Isernia scaricare la loro rabbia non più sui loro padri frustrati e malmessi, esodati o licenziati, cassintegrati o depressi ma su quelli che così li avevano ridotti, in nome di una crisi che loro stessi avevano creato o contribuito a creare o deciso o concertato con una sorta di nuovo ordine mondiale che voleva lo spostamento delle ricchezze da una parte di un continente ad un altro, incurante dei danni, delle morti, dei soprusi, delle angherie, delle mortificazioni, degli spaesamenti, delle fughe dei cervelli, di stomaci, fegati, cuori, pancreas, di piedi che camminavano non più per le strade di Rossano Calabro ma per quelle di Soho in una Londra che, fino a poco prima, non sapevano manco cosa fosse o dove fosse, in cerca di un pasto, di un posto, un diritto, di un saluto, di una buonasera, di un abbraccio, di un martini, uno scotch, una birra, due olive, un fazzolettino Kleenex che asciugasse le loro lacrime di ragazzi campani o calabresi che mandavano sms alle mamme per non farle preoccupare, pur sapendo che come diceva una canzone: la lontananza sai è come il vento… era quella la grande bellezza.»

Peppe Lanzetta, Figli di un Bronx minore.