Al di là del titolo disperante di “Quando abbiamo smesso di capire il mondo”, le narrazioni di Benjamín Labatut ci suggeriscono un modo non banale di considerare i progressi della scienza. Come in questo breve apologo, posto come appendice del libro.
«La lentezza con cui cresce il mio giardino mi esaspera. Gli inverni in montagna sono rigidi, la primavera e l’estate sono corte e molto aride, e la terra del mio giardino è povera, perché poggia su detriti. Il proprietario precedente, l’uomo che costruì il capanno e da cui lo comprai, dovette livellare il terreno con materiali di scarto e rifiuti, per cui ogni tanto, quando scavo per piantare fiori o alberi, trovo tappi di bottiglia, pezzi di cemento, cavi e schegge di plastica triturata. Ci sono un sacco di fertilizzanti e concimi che potrei usare, ma i miei alberi mi piacciono come sono, anche se non diventano molto alti. Le loro radici non hanno dove espandersi: sotto il misero strato di terra con cui ho coperto la spazzatura ci sono calce e argilla compattata, per cui la maggior parte di loro resta rachitica, con una strana bellezza da bonsai, ma comunque atrofica. Il giardiniere notturno mi raccontò che lo scienziato che inventò i fertilizzanti azotati moderni – un chimico tedesco di nome Fritz Haber – fu anche il primo uomo a creare un’arma di distruzione di massa, il gas cloro, che riversò nelle trincee della prima guerra mondiale. Il suo veleno verdastro uccise migliaia di persone e si abbatté su un numero incalcolabile di soldati che, mentre il gas ribolliva nei loro polmoni, si graffiavano la gola e soffocavano nel proprio muco e nel proprio vomito; il fertilizzante che riuscì a ricavare dall’azoto presente nell’atmosfera, invece, salvò centinaia di milioni di persone dalla carestia e rese possibile l’esplosione demografica attuale. Oggi l’azoto abbonda, ma nei secoli passati si combatterono guerre sanguinose per controllare il traffico degli escrementi di pipistrelli e di volatili, e le tombe dei faraoni vennero saccheggiate da ladri che non erano in cerca di oro o gioielli, ma dell’azoto nascosto nelle ossa delle mummie e delle migliaia di schiavi sepolti con loro. Secondo il giardiniere notturno, i Mapuche trituravano gli scheletri dei loro nemici e spargevano quella polvere nei propri terreni come concime, e lo facevano sempre di notte, mentre gli alberi dormivano profondamente, perché credevano che alcuni di essi – la corteccia di Winter o l’araucaria –potessero vedere l’anima di un guerriero, rubare i suoi più intimi segreti e diffonderli attraverso le radici del bosco, dove i pallidi miceli dei funghi sussurravano ai rizomi delle piante, gettando discredito sul guerriero di fronte a tutta la comunità. Una volta che la sua vita segreta era persa, denudata ed esposta agli occhi del mondo, l’uomo iniziava ad appassire lentamente, seccandosi dentro e fuori, senza sapere perché.»
Benjamín Labatut, Quando abbiamo smesso di capire il mondo.