Raffaele La Capria, il grande scrittore napoletano scomparso nel 2022. Ne nasce una sorta di diario e insieme di autobiografia che dalla Napoli degli anni Trenta giunge fino a noi oggi. La Capria traccia un autoritratto che ripercorre i momenti cruciali della letteratura italiana del Novecento. Una indagine sull’evoluzione culturale del nostro paese: da Goffredo Parise, ad Alberto Moravia “illuminista quotidiano”; ma anche una riflessione sul tema dell’ideologia che si fa politica in Pasolini e letteraria in Calvino.
«Tornando sulla cultura italiana, troppe sono state le occasioni perdute, quelle in cui avrebbe dovuto pronunciarsi con più forza di quanto non abbia saputo o voluto fare. Quello che mi aspettavo io, ad esempio, dopo la guerra, era una vera elaborazione del lutto della sconfitta: perché non c’è nulla da fare, la guerra l’avevamo perduta! Accettando quel lutto, e ammettendo la sconfitta, avremmo tutti potuto capire tante cose che ci erano successe. E invece, come in una doccia scozzese, siamo semplicemente passati da una cosa all’altra… dal tono trionfalistico del fascismo al tono trionfalistico del dopoguerra. Senza passare per l’ammissione dei torti, che è la vera e unica garanzia per non ripetere le malefatte. Invece ci siamo raccontati una bugia: “Abbiamo vinto assieme agli Alleati!”, collegata a un’altra bugia: “Abbiamo sempre sperato che vincessero loro!”. Sì, ma in quanti erano a sperarlo? Non ha forse ragione Flaiano, quando dice che gli italiani corrono sempre in soccorso del vincitore? Sono qui le fondamenta di tanti equivoci, di tante mistificazioni, a partire dal sentimentalismo impegnato del Neorealismo. Il quale non poteva derivare che da questa mancata elaborazione del concetto di sconfitta. C’è in tutto questo una mancanza di serietà su cui si è poco riflettuto. È mancato (non mancò invece in Germania) un confronto brutale con tutto ciò che eravamo stati. E invece eravamo tutti buoni, tutti tesi ad essere come si doveva essere… E perfino i film veramente belli, come quelli di Rossellini, sotto sotto pagano anche loro questa mancanza, tutta italiana, di spietatezza critica. Ma lasciamo perdere il Neorealismo, che perlomeno può vantare dei capolavori. Il guaio vero inizia quando su questa mollezza, su questa mancanza di senso critico dell’esistenza, e dell’esperienza storica appena trascorsa, si innesta il lavoro dei partiti politici. Con le loro ideologie preconfezionate, da scegliere come sul bancone di un supermercato. Cosa prendo, l’ideologia cattolica o quella comunista? O magari quella socialista? Ma i criteri stessi di queste scelte, tra merci tutto sommato molto simili, erano sbagliati! Lo posso ben testimoniare io stesso, che scelsi il comunismo.»
Raffaele La Capria, Letteratura e libertà.