Questa denuncia del vandalismo della cultura di regime apre il discorso che Milan Kundera tiene nel giugno 1967 al Congresso dell’Unione degli scrittori cecoslovacchi, poco dopo la lettera aperta di Aleksandr Solženicyn sulla censura nell’Urss. Il discorso è contenuto in “Un occidente prigioniero”, pubblicato da Adelphi con un sottotitolo: “La tragedia dell’Europa centrale”.
«Chi è il vandalo? No, non è affatto il contadino analfabeta che in un accesso di rabbia dà fuoco alla casa del ricco proprietario terriero. I vandali che incontro io sono tutti letterati, soddisfatti di sé, con una discreta posizione sociale e senza particolari risentimenti nei confronti di chicchessia. Il vandalo è la superba ristrettezza di vedute che basta a sé stessa ed è sempre pronta a rivendicare i suoi diritti. Questa superba ristrettezza di vedute crede che il potere di adeguare il mondo alla propria immagine sia un diritto inalienabile, e poiché il mondo è per lo più composto di situazioni che la spiazzano lo adegua alla propria immagine distruggendolo. Così un adolescente decapita in un parco una statua colpevole di superare oltraggiosamente la sua essenza umana e, dal momento che ogni atto di autoaffermazione è appagante per l’uomo, esulta nel farlo. Gli uomini che vivono solo un presente decontestualizzato, che ignorano la continuità della storia e mancano di cultura possono trasformare la patria in un deserto privo di storia, di memoria, di echi e di ogni bellezza. Il vandalismo contemporaneo non si manifesta unicamente in forme condannabili agli occhi della legge. Se un comitato di cittadini oppure di burocrati incaricati di un’indagine stabilisce che una statua (un castello, una chiesa, un tiglio centenario) è inutile e decide di eliminarla, non fa che mettere in atto una diversa forma di vandalismo. Fra una distruzione legale e una illegale non c’è grande differenza, così come fra una distruzione e una proibizione.»
Milan Kundera, La letteratura e le piccole nazioni.