Il famoso passo di Kant presuppone la sua concezione del mondo, come emerge in una lezione di più di un trentennio prima raccolta in “Storia universale della natura e teoria del cielo” (1755): “Che cosa sia veramente l’uomo, noi in realtà non lo sappiamo… tantomeno potremo quindi indovinare quel che l’uomo sarà un giorno. Tuttavia, l’avidità di sapere dell’anima umana aspira ardentemente a fare un po’ di luce nell’oscurità di simili conoscenze”.
«Due cose riempiono l’animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente, quanto più spesso e più a lungo la riflessione si occupa di esse: il cielo stellato sopra di me, e la legge morale in me. Queste due cose io non ho bisogno di cercarle e semplicemente supporle come se fossero avvolte nell’oscurità, o fossero nel trascendente, fuori del mio orizzonte; io le vedo davanti a me e le connetto immediatamente con la coscienza della mia esistenza.
La prima comincia dal posto che io occupo nel mondo sensibile esterno, ed estende la connessione in cui mi trovo, a una grandezza interminabile, con mondi e mondi, e sistemi di sistemi; e poi ancora ai tempi illimitati del loro movimento periodico, del loro principio e della loro durata.
La seconda comincia dal mio io invisibile, dalla mia personalità, e mi rappresenta in un mondo che ha la vera infinitezza, ma che solo l’intelletto può penetrare, e con cui (ma perciò anche in pari tempo con tutti quei mondi visibili) io mi riconosco in una connessione non, come là, semplicemente accidentale, ma universale e necessaria. Il primo spettacolo di una quantità innumerevole di mondi annulla affatto la mia importanza di creatura animale che deve restituire nuovamente al pianeta (un semplice punto nell’universo) la materia della quale si formò, dopo essere stata provvista per breve tempo (e non si sa come) della forza vitale. Il secondo, invece, eleva infinitamente il mio valore, come valore di una intelligenza, mediante la mia personalità in cui la legge morale mi manifesta una vita indipendente dall’animalità e anche dall’intero mondo sensibile, almeno per quanto si può inferire dalla determinazione conforme a fini della mia esistenza mediante questa legge: la quale determinazione non è ristretta alle condizioni e ai limiti di questa vita, ma si estende all’infinito.»
Immanuel Kant, Critica della ragion pratica (traduzione di Francesco Capra).