fbpx
Home Cultura LE CITAZIONI: Kant. La desolazione del ricco

LE CITAZIONI: Kant. La desolazione del ricco

by Ernesto Scelza
0 comments

Verso la fine della sua vita Kant continua a riflettere su questioni di politica e di morale. Qui, con un linguaggio accessibile a chiunque e in uno stile agile e popolare reso dalla traduzione di Pantaleo Carabellese, riflette sulla questione della “socievolezza” dell’uomo, vale a dire “sul fatto che nessun uomo può vivere solo, che gli uomini sono interdipendenti non solo nei loro bisogni e nelle loro cure ma anche per quanto riguarda la loro somma facoltà, la mente, che non può funzionare al di fuori della società umana” (Hannah Arendt).

 

«Sogno di Carazan: “Quest’uomo ricco ed avaro aveva chiuso il cuore, via via che si accrescevano le sue ricchezze, alla pietà e all’amore per tutti gli altri. Eppure a misura che in lui si raffreddava l’amore per gli uomini,

aumentava l’assiduità delle preghiere e delle pratiche religiose. Compiuta questa confessione, egli prosegue dicendo: “Una sera, dopo che, presso alla lampada, ebbi fatto i miei conti e calcolato i miei guadagni, fui sopraffatto dal sonno. A questo punto, vidi piombare su di me l’angelo della morte simile a una folgore; esso mi colpì prima che io potessi schivare la spaventosa percossa. Restai pietrificato appena mi accorsi che la mia

sorte si decideva per l’eternità, che nulla poteva essere aggiunto a tutto il bene che avevo compiuto, e nulla poteva esser detratto da tutto il male che avevo operato. Fui condotto dinanzi al trono di Colui che abita nel sommo dei cieli. La luce che splendeva di fronte a me mi disse allora: “Carazan, la tua devozione è maledetta. Hai chiuso il tuo cuore all’amore degli uomini, e hai stretto i tuoi tesori entro un pugno di ferro. Vivesti solamente per te stesso: d’ora in avanti vivrai in solitudine per l’eternità, tagliato fuori da ogni contatto con tutta la creazione”. In quell’istante fui trascinato da una forza invisibile, e sospinto attraverso lo splendente sistema del creato. Tosto lasciai dietro di me innumerevoli mondi, e, non appena fui vicino al limite estremo della natura, mi accorsi che le ombre del vuoto sconfinato si ritraevano nell’abisso al mio cospetto. Un regno spaventoso di silenzio eterno, di eterna solitudine e oscurità! Indicibile l’orrore che mi colse a questo spettacolo. Piano piano perdetti di vista le ultime stelle, e finalmente anche l’ultima fioca parvenza di luce si spense nell’oscurità circostante. L’angoscia mortale della disperazione cresceva ad ogni istante, come ad ogni istante aumentava la mia lontananza dall’ultimo dei mondi abitati. Pensavo con intollerabile ambascia che, se per altre diecimila volte mille anni mi avessero portato di là dei confini di tutta la creazione, sempre avrei guardato innanzi nello smisurato abisso dell’oscurità, senza aiuto né speranza di un qualche ritorno … In questo stordimento, allungai le mani con tanta veemenza verso gli oggetti reali, da venirne destato. Ed ora ho imparato ad apprezzare gli uomini: ché anche il più umile di loro, quello che nella superbia della mia felicità avevo scacciato dalla mia porta, in quella spaventevole desolazione sarebbe stato da me preferito a tutti i tesori di Golconda.»

Immanuel Kant, Osservazioni sul sentimento del bello e del sublime.

Leave a Comment