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«(Machiavelli) non consiglia monarchi e governi repubblicani per amor loro, ma si è proposto di favorire. la potenza e la grandezza, la salda sicurezza dello stato borghese in quanto tale. (…) Un sistema statale è buono, possiede virtù, se in esso sono realizzate le condizioni che permettono ai suoi cittadini di essere virtuosi. Costoro devono essere coscienti di sé, forti, disinibiti, possedere cioè le qualità che nelle condizioni di allora erano attributo di un grande imprenditore, di un commerciante, di un navigatore, di un banchiere. Per Machiavelli dal fiorire di queste professioni dipende il bene di tutti. La sua lungimiranza politica è dimostrata dal fatto che effettivamente l’ascesa della classe borghese nel Rinascimento è stata condizione del grande progresso sociale. Solo ora ci è dato comprendere il reale significato del concetto corrente di “machiavellismo”, inteso come radicale mancanza di scrupoli politica, come azione assolutamente “amorale”. Machiavelli chiede la subordinazione di ogni scrupolo allo scopo che giudica supremo: la instaurazione e la conservazione di uno stato forte, centralizzato come condizione del benessere borghese. Se si vuole riassumere il contenuto del Principe e dei Discorsi nella proposizione che il fine giustifica i mezzi, si deve almeno specificare di quale fine si tratta, e cioè della creazione della migliore comunità possibile. Per Machiavelli, a questo fine supremo dell’agire umano andavano subordinate la morale e la religione. Al servizio di questo fine, a suo giudizio, si possono porre la menzogna e l’inganno, la simulazione, la crudeltà, l’assassinio. (…) Il suo errore, che l’età successiva ha ulteriormente accentuato nella dottrina della ragione di stato, consiste nell’aver giustificato anche per il passato e il futuro strumenti di dominio che erano condizione irrinunciabile per l’ascesa della borghesia nel suo tempo e nel suo paese.»
Max Horkheimer, Gli inizi della filosofia borghese della storia.