“Ho appena terminato un grande romanzo a cui ho lavorato per quasi dieci anni…” scriveva nel 1960 Vasilij Grossman. Ma né la coscienza di aver scritto il “Guerra e pace” del Novecento, né l’essere stato corrispondente di guerra al seguito dell’Armata Rossa salveranno il manoscritto dal sequestro e dal tentativo di distruzione da parte del KGB, la polizia segreta dell’Unione sovietica.
«Oltre al bene grande e minaccioso esiste la bontà di tutti i giorni. La bontà della vecchia che porta un pezzo di pane a un prigioniero, la bontà del soldato che fa bere dalla sua borraccia un nemico ferito, la bontà della gioventù che ha pietà della vecchiaia, la bontà del contadino che nasconde un vecchio ebreo nel fienile. La bontà delle guardie che, a rischio della propria libertà, fanno avere a mogli e madri – non ai loro sodali, questo no – le lettere dei prigionieri.
È la bontà dell’uomo per l’altro uomo, una bontà senza testimoni, piccola, senza grandi teorie. La bontà illogica, potremmo chiamarla. La bontà degli uomini al di là del bene religioso e sociale.
A ben pensarci, però, ci si accorge che la bontà illogica, fortuita e del singolo uomo, è eterna. Che si estende a tutto quanto è vivo, a un topo o al ramo che un passante si ferma a sistemare perché possa attecchire meglio al tronco.
In quest’epoca tremenda, un’epoca di follie commesse nel nome della gloria di Stati e nazioni o del bene universale, e in cui gli uomini non sembrano più uomini ma fremono come rami d’albero e sono come la pietra che frana e trascina con sé le altre pietre riempiendo fosse e burroni, in quest’epoca di terrore e di follia insensata, la bontà spicciola, granello radioattivo sbriciolato nella vita, non è scomparsa.
In un villaggio arrivano i tedeschi, i vendicatori. Il giorno prima due soldati nazisti sono stati uccisi per strada.
Verso sera fanno uscire di casa le donne e ordinano di scavare una fossa sul limitare del bosco. Nel frattempo alcuni soldati si sistemano in casa di una vecchia. Il marito viene convocato da un polizei e condotto con altri venti contadini in un ufficio. Lei non chiude occhio fino al mattino: i tedeschi trovano un paniere di uova e un vaso di miele in cantina, accendono la stufa, si preparano una frittata e si scolano la vodka. Poi il più vecchio suona l’armonica mentre gli altri battono il tempo con i piedi e cantano. Non degnano di uno sguardo la padrona di casa, neanche fosse un gatto, e non un essere umano. La mattina all’alba controllano i mitra, il più vecchio preme involontariamente il grilletto e si spara una raffica allo stomaco. Urla, agitazione. Gli altri lo bendano alla meno peggio e lo stendono sul letto. Ma poi li chiamano per l’adunata. A gesti i tedeschi ordinano alla donna di prendersi cura del ferito. Lei si rende conto che le basterebbe poco per soffocarlo: quello farfuglia a occhi chiusi, si lamenta, schiocca le labbra. Poi apre gli occhi di colpo e dice distintamente: “Donna, acqua”. “Maledetto” gli risponde lei. “Potessi soffocarti…”. Ma gli dà da bere. Lui la prende per un braccio e le fa segno di tirarlo su, che il sangue gli impedisce di respirare. Lei lo solleva, lui si aggrappa al collo di lei. In quello stesso momento si sente sparare, e la povera donna trema come una foglia.
In seguito, quando racconterà l’accaduto, nessuno la capirà né lei saprà spiegarsi.»
Vasilij Grossman, Vita e Destino.