“La macchina politica dell’Apocalisse”: così Manlio Graziano titola la parte del suo studio che tratta degli scenari geopolitici attuali. La sua tesi è che non sia mai esistito un ordine globale, affermata fin dalle prime pagine, dove conferma “l’ambizione di illustrare le ragioni per cui un nuovo ordine mondiale non sia realizzabile, stante l’attuale situazione, caratterizzata dal declino relativo degli Stati Uniti e della diminuzione della loro capacità di mantenere l’ordine imposto alla fine della Seconda guerra mondiale”.
«I politici sono il prodotto dell’atmosfera di un’epoca, non la sua causa. se non fosse così, non si spiegherebbe la pletora di arroganti sciovinisti tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, di dittatori sociopatici negli anni 1930… e, infine, di vanesi populisti dei nostri anni “have-your-cake-and-eat-it” (“non puoi mangiare la torta e continuare ad averla”, ndr) dei nostri anni: meno tasse e, al tempo stesso, più servizi e, se possibile, più sovvenzioni, sussidi, indennità e regalie.
(…) Uno dei limiti geopolitici di cui soffrono gli Stati Uniti è l’assenza di cultura geopolitica. Nel paese del self-made man è diffusa la convinzione che chiunque possa piegare la realtà al proprio volere. Eppure, gli Stati Uniti sono il paese che più di ogni altro avrebbe bisogno della geopolitica, per gestire il proprio declino relativo evitando di infliggere troppi danni a sé stessi e agli altri (…).
Quando hanno ereditato il ruolo di potenza egemone mondiale dalla Gran Bretagna, gli Stati Uniti ne hanno ereditato anche la dottrina geopolitica principale… Anche per loro, il rischio da evitare a ogni costo era “che una larga parte del Grande Continente (l’Eurasia) possa un giorno essere unita sotto un’unica direzione, e che disponga di una forza marittima invincibile”. Quella tesi è diventata una sorta di stella polare della politica estera americana, teorizzata in epoche diverse da personaggi come Nicholas Spykman, Hans Morgenthau, Henry Kissinger e Zbigniew Brzezinski, non a caso tutti nati all’estero. (…) Anni dopo il crollo dell’Unione Sovietica, per Brzezinski la prospettiva continuava a essere quella del containment della Russia: la “capacità dell’America di esercitare la supremazia globale” consisteva ancora nell’evitare che emergesse “uno sfidante eurasiatico, capace di dominare l’Eurasia e quindi anche di sfidare l’America”.
(…) Non stupisce che, all’inizio del XXI secolo, sia riaffiorata l’idea di servirsi di nuovo di una Russia ancora più debole di quanto non lo fosse l’URSS del dopoguerra: per controbilanciare e, se possibile, dividere l’Europa; ma anche, e forse soprattutto, per controbilanciare la Cina. Il suo uso è tanto più efficace quanto più mantiene margini di ambiguità: contro la Russia in Ucraina, per esempio, per rigirare il coltello nella piaga delle divisioni europee e, al tempo stesso, con la Russia in Medio Oriente, per tenere gli europei fuori dalla regione. La stessa duplicità vale ovviamente sul fronte asiatico, dove lo scopo principale resta quello indicato da Mackinder, Spykman, Kissinger e Brzezinski: impedire la saldatura tra Russia e Cina, o tra Russia e Giappone, o, peggio, tra Cina e Giappone, che sarebbe il vero scenario da incubo per Washington.»
Manlio Graziano, Geopolitica. Orientarsi nel grande disordine internazionale.