Il 5 settembre 1972 a Monaco di Baviera, nel corso delle Olimpiadi, un gruppo di miliziani palestinesi di “Settembre nero”, prese in ostaggio degli atleti israeliani, avanzando richieste per il loro rilascio. I governi israeliano e tedesco respinsero ogni trattativa. Il bilancio finale fu l’uccisione degli atleti, dei terroristi e di un poliziotto tedesco. Nove giorni dopo Natalia Ginzsburg pubblicherà l’articolo, ora raccolto in “Vita immaginaria”.
«Se fossi stata Golda Meyr, avrei liberato i duecento prigionieri, come i guerriglieri chiedevano. Dicono che non si deve mai sottostare ai ricatti. A me sembra che anche i ricatti si devono accettare, nel caso di una grande disgrazia comune. Dicono che i duecento prigionieri, una volta liberi, avrebbero ancora catturato innocenti e disseminato stragi. Ma il mondo oggi è costruito in una forma così disastrosa che è necessario decidere di minuto in minuto come difendersi e chi difendere. Penso che quei nove ostaggi andavano salvati e ogni altra considerazione lasciata in disparte. Penso che se Golda Meyr avesse liberato i duecento prigionieri, avrebbe dato al mondo una lezione non di debolezza, ma di forza. O almeno dell’unica forza in cui è legittimo credere, la forza che se ne infischia di vincere ed è pronta a perdere, la forza che non risiede nelle armi, nel petrolio o nell’orgoglio ma nello spirito.
Se fossi stata il capo della polizia tedesca, avrei lasciato che i guerriglieri andassero via illesi e portassero i nove ostaggi dove essi credevano. Se esisteva anche solo un atomo di possibilità che uno fra i nove ostaggi riuscisse a salvarsi, questo atomo doveva da tutti essere contemplato come essenziale.
Se fossi stata il capo delle Olimpiadi, avrei sospeso le Olimpiadi perché evidentemente dopo non avevano piú nessun senso. (…) Nel pensare ai guerriglieri, ho la sensazione di provare per loro una sorta di orrore disumano. Un simile orrore disumano, può ispirarlo soltanto la presenza di una disumana disperazione. Quando riconosciamo i tratti della disumana disperazione, sentiamo scomparire dal nostro spirito i nostri sentimenti consueti, non sentiamo piú odio, né sdegno, né pietà. Il nostro spirito diventa di pietra. Ci sembra di avere incontrato sui nostri passi un deserto di pietra, dove non cresce odio né sdegno né pietà come non crescono alberi. Nel pensare ai guerriglieri con un simile orrore disumano, noi diventiamo per qualche attimo simili a loro o alla idea che ci siamo fatti di loro, diventiamo di pietra e perdiamo il respiro dello spirito. Da un simile orrore disumano, noi dovremmo difenderci perché esso è una aberrazione.
I guerriglieri sono forse il limite estremo della nostra stessa disperazione, non ancora disumana e stillante di pietà e di sdegno, non ancora disumana e con la quale da tempo ci siamo abituati a convivere. Le chiavi per capire i guerriglieri forse risiedono nella nostra stessa disperazione. Essi ci sembrano venuti da un mondo che non è il nostro. Ma le strade che hanno seguito per arrivare a una simile disumana disperazione, a noi sembrano indecifrabili e disumane forse soltanto perché non ci è mai accaduto né di conoscerle, né di capire quanto erano diverse e remote e quanto erano vicine e simili alle strade che noi medesimi abbiamo percorso.»
Natalia Ginzburg, Gli ebrei, La Stampa del 14 settembre 1972.