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LE CITAZIONI: Ghiannis Ritsos, Elena

by Ernesto Scelza
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Nel 1970, il regime dei colonnelli costringe a domicilio coatto a Karlòvasi (nell’isola di Samo) Ghiannis Ritsos. Privato della libertà, il poeta scrive il monologo drammatico ῾Ελένη, che mostra una Elena in esilio, che nasconde con un fiore “il sorriso della libertà”.

 

Oh, questo esilio dentro i nostri stessi abiti che invecchiano,

dentro la nostra stessa pelle che avvizzisce; mentre le nostre dita

non riescono più a stringere, a reggere intorno al nostro corpo

neppure la coperta, che si solleva da sola, si disfà, scompare, lasciandoci

scoperti di fronte al vuoto (…).

I morti non ci danno più pena ormai, – ed è strano – non è vero? –

non tanto per loro, quanto per noi, – questa loro neutrale familiarità

nei confronti di uno spazio che li ha respinti e per cui non contribuiscono più

né alle spese di manutenzione né all’ansia per il suo sfacelo,

loro, realizzati e immutabili, solo appena un po’ più grandi (…).

Oh, sì, talvolta rido, e sento il mio riso rauco che sale

non già dal petto, ma da molto più in basso, dai piedi; da più in basso ancora,

dalle viscere della terra. E rido. Com’era tutto senza senso,

senza scopo, durata né sostanza – ricchezze, guerre, glorie e invidie,

gioielli e la mia stessa bellezza. Che stupide leggende,

cigni e Troie e amori e gesta. Li incontrai di nuovo,

durante banchetti funebri e notturni, i miei vecchi amanti, con le barbe

bianche,

i capelli bianchi, i ventri ingrossati, quasi fossero

già incinti della loro morte, divorare con un’estranea avidità

l’arrosto di capretto, evitando di divinare il futuro sull’osso della spalla –

divinare che cosa? –

un’ombra piatta con appena qualche macchia bianca copriva tutto l’osso.

Io, come sai, conservavo ancora l’antica bellezza

quasi per miracolo (…).

Non guardai altro; non udivo quasi i loro gridi di guerra –

io, lassù, sulle mura, sopra le teste dei mortali, aerea, carnale,

senza appartenere a nessuno, senza avere bisogno di nessuno,

come se fossi (nella mia indipendenza) tutto quanto l’amore, – libera

dal timore della morte e del tempo, con un fiore bianco tra i capelli,

con un fiore tra i seni, e un altro tra le labbra per nascondere

il sorriso della libertà. Avrebbero potuto

colpirmi da entrambi i lati con le frecce. Mi offrivo a bersaglio

camminando lentamente sulle mura, stagliandomi

nel cielo porporino della sera. Tenevo gli occhi chiusi

per agevolare un gesto d’ostilità da parte loro – ben sapendo in fondo

che nessuno l’avrebbe osato. Le loro mani tremavano per il bagliore

della mia bellezza e immortalità – (forse ora posso aggiungere:

non la temevo la morte, perché la sentivo così lontana). Allora

gettai i due fiori dai seni e dai capelli; – il terzo

lo tenevo ancora tra le labbra; – li gettai ai due lati delle mura

con gesto d’assoluta degnazione. E allora gli uomini, dentro e fuori le mura,

si gettarono l’uno sull’altro, avversari e alleati, per conquistare

quei fiori e offrirmeli – i miei fiori. Non vidi

nient’altro dopo, – soltanto schiene curve, come se tutti

fossero inginocchiati per terra, dove seccava al sole il sangue; – forse

calpestavano già quei fiori. Non vidi. Avevo mosso le mani,

mi ero sollevata sulle punte dei piedi, e ascesi al cielo

lasciandomi cadere di bocca anche il terzo fiore.

Da: Elena (in: Quarta dimensione).