L’intervento di Garboli, raccolto in “Ricordi tristi e civili”, risponde all’articolo “Gli ebrei” di Natalia Ginzburg scritto all’indomani della strage alle Olimpiadi di Monaco del 1972, e ne coglie i presupposti più disperanti.
«Credo che la Ginzburg intenda dire che oggi non si può stare dalla parte di chi fa la storia, ma solo dalla parte di chi la subisce. Un tempo, fino a venti o trenta anni fa (l’articolo è del 1972, ndr), non era così. Un tempo, fino a ieri, si apriva alla coscienza di ciascuno uno spiraglio di speranza: la speranza di collaborare alla storia stando dalla parte giusta. In modo particolare, questa speranza ha celebrato il suo grande momento, si sa, all’indomani del crollo del fascismo, una festa sulla quale il cielo si è rapidamente richiuso. Tutte le generazioni che hanno preceduto la nostra, sia pure confusamente, hanno sempre vissuto nell’illusione, o comunque nell’idea che il mondo potesse cambiare, e che la storia dell’uomo fosse in lento, ma costante progresso. Questa idea sotterranea, che ha percorso i secoli, ha oggi cessato di esistere, è uno dei tanti robivecchi che abbiamo abbandonato in soffitta, una delle tante idee “romantiche” del passato. Se oggi abbiamo una certezza, è appunto che il mondo non cambierà mai. In tutti i sensi, il romanticismo è davvero finito, e con esso la sensazione che i passi dell’umanità formino un progressivo cammino verso una meta, verso un traguardo.
Quello che ci abbandona, o ci ha già abbandonato, è non solo il senso della storia, del bene della storia, ma anche il senso del futuro, l’immagine del nostro destino, l’idea della bontà del fare e del credere, del dirigere e programmare la nostra vita. Se guardiamo in avanti, nel nostro futuro, non vediamo la vita, vediamo la morte. (…) Un tempo, fino a ieri, si poteva credere che sarebbe venuto il potere giusto, il potere di “quelli che muoiono o patiscono ingiustamente”. È un’illusione. Quelli che sono nati a morire o a patire ingiustamente, il potere non lo conosceranno mai. Nella sua caccia alle verità sublimi e indistruttibili, Natalia Ginzburg aveva forse il dovere di scrivere anche questa verità odiosa: non ci voleva molto, bastava spingere un po’ piú a fondo i pensieri, portarli alle estreme conseguenze. Bastava chiedersi non che cosa avrebbe fatto lei, Natalia Ginzburg, al posto di Golda Meir o del capo delle Olimpiadi, ma per quale motivo lei, Natalia Ginzburg, non si trova a quel posto, seduta sulla sedia di chi ha il potere di decidere. Finché si è vittime, si è nel giusto, e si è nel giusto finché si è vittime. “Tertium non datur…” È il potere, in sé stesso, comunque lo si pratichi, comunque lo si cerchi, a essere un male.»
Cesare Garboli, Israele e la Ginzburg, Il Giorno del 16 settembre 1972.