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LE CITAZIONI: Gaeta. I classici, nostri contemporanei

Maria Ida Gaeta

by Ernesto Scelza
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Maria Ida Gaeta è l’ideatrice di “Letterature”, il Festival Internazionale che si svolge a Roma, nella Basilica di Massenzio al Foro Romano, dal 2002. Così presenta i testi approntati per l’edizione dedicata al “Domani dei classici”, citando Italo Calvino: “Un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire… i classici sono quei libri che ci arrivano portando su di sé la traccia delle letture che hanno preceduto la nostra e dietro di sé la traccia che hanno lasciato nella cultura o nelle culture che hanno attraversato (o più semplicemente nel linguaggio o nel costume)”.

 

«… se i classici non dovessero avere nessun futuro, non saremmo noi ad aver dimenticato, ma tutto il passato ad averci dimenticato. In altre parole, saremmo soli al mondo, orfani. E per alcuni autori l’avvenire dei classici sarebbe essenzialmente legato alla sopravvivenza dell’epica perché solo la narrazione epica, la sua lingua, in quanto canto dell’origine e di un tempo assolutamente distante da noi, ci porta verso valori assoluti, verso il tempo senza tempo delle eroine e degli eroi, trasformando la cronaca delle nostre vite di poveri mortali in mito, in favola. Così restituendoci l’unica grandezza possibile che non può che appartenere al passato, ad un passato perfettamente compiuto in sé stesso e che continua ad assorbire incessantemente i nostri presenti. Del resto l’unica forma di immortalità concessa all’uomo è la immortalità narrativa e in tal senso la letteratura può essere considerata una sorta di fede. Una fede che ci fa continuare a cercare il mistero della vita nei classici e ci fa avvertire costantemente la necessità di connettere il moderno con l’antico, per reimmaginare la classicità in modo che continui a dar forma alla contemporaneità. Una prospettiva che potrebbe farci comprendere quanto le nostre crisi spesso coincidono con il nostro fallimento nel compito di trasformare ciò che è stato in ciò che oggi diviene, nel guardarci indietro, nell’individuare quel che conta e trasportarlo avanti. (Quanto, ad esempio, sarebbe utile la lettura degli autori della cosiddetta decadenza, scoprendo quali fossero i loro sentimenti nell’assistere e nel sopravvivere alla morte del loro mondo, per comprendere o anche solo immaginare cosa potremmo fare noi se dovessimo assistere – come di fatto sta avvenendo – al crollo del mondo a cui siamo da sempre abituati e che pensavamo certamente che avrebbe dovuto durare per sempre?). Una prospettiva che ci fa anche riflettere su quanto gli dèi e gli eroi dell’antica Grecia alimentano ancora la nostra vita quotidiana. Nei modi di dire, nella musica pop, nei titoli dei giornali, nelle definizioni dei personaggi famosi, nel gergo psicologico o politico, negli eufemismi (…) la mitologia continua a suggerirci il modo in cui nominiamo il mondo. È come se l’insieme dei classici riproducesse, attraverso una logica poetica, un formidabile sistema di pensiero, facendosi anche forma di pensiero sociale (…). Che lo vogliamo o no, torniamo sempre a questi miti per cercare di comprendere quel che siamo o che vorremmo essere. Ed anche se pensiamo di essere decisamente migliori dei nostri antenati, di quei selvaggi che possedevano schiavi e veneravano dèi, dobbiamo accettare il fatto che, in una lingua che non conosciamo ormai più tanto, poeti che vivevano in società così lontane dalla nostra, avevano già trovato le parole per descrivere le esperienze e le emozioni più profonde, i sentimenti e i pensieri condivisi da tutti gli esseri umani in ogni luogo e tempo, gli stessi della nostra vita attuale.»

Maria Ida Gaeta, Il domani dei classici.