Foto by blog di Alan Friedman
Il giornalista e analista Alan Friedman, in questo suo libro scritto poco prima della seconda presidenza di Donald Trump alla Casa Bianca si interroga: “È davvero la fine del “secolo americano”? Ci stiamo dirigendo verso un nuovo disordine mondiale, sempre più pericoloso e instabile?”. E traccia la “parabola fulminea di un ‘impero’ dalla durata brevissima, poco più di 80 anni”, sottolineando i gravi errori commessi dalle amministrazioni Usa, “da Franklin Delano Roosevelt a John F. Kennedy, da Jimmy Carter a George W. Bush, da Barack Obama a Joe Biden”, fino all’America divisa di Donald Trump e Kamala Harris. Friedman esprime la sua inquietudine di fronte agli scenari dei prossimi anni, quando “gli effetti del Nuovo Disordine Mondiale metteranno alla prova i nostri valori, in America come in Europa. Il destino dell’una determinerà il destino dell’altra, e del mondo intero”.
«Nel Nuovo Disordine Mondiale, gli ingranaggi dell’ordine liberale occidentale nato nel dopoguerra sono arrugginiti. La macchina scricchiola. Ci sono due grandi potenze che si contendono il potere economico e militare: la Cina da una parte, gli Stati Uniti dall’altra. Il Sud globale gioca una partita tutta sua, cambiando casacca a seconda del momento, e in ogni caso sa che avrà sempre un amico a Pechino. Nel frattempo l’isolamento in cui sono finiti gli Stati Uniti, che sia per scelta o come conseguenza delle loro azioni, non fa che acuirsi. L’Europa è divisa, non parla con una voce unica, e non ha un vero peso negli affari mondiali. Anzi, il Vecchio Continente è alle prese al suo interno con una crisi esistenziale.
In tutto questo Putin continua a portare in scena le sue fantasie zariste, e pazienza se il prezzo da pagare è un’orripilante strage in Europa, in Ucraina e altrove. La guerra ibrida che ha lanciato contro l’Occidente tocca ormai venti paesi africani, Libia compresa; tra i suoi alleati ci sono gli ayatollah di Teheran, i miliziani di Hamas e di Hezbollah, gli Houthi, Bashar al-Assad in Siria, pure la Corea del Nord. Ma anche Brasile, Sudafrica e India sono amici suoi. I fondi con cui foraggia i partiti estremisti dell’Unione Europea continuano a dare i loro frutti.
L’America è sulla difensiva. Washington non è più al comando… La Cina allarga i confini del suo soft power, e nel frattempo mostra i muscoli dal punto di vista militare: detta l’agenda, persegue i suoi obiettivi, e ovunque veda uno spiraglio cerca di scalzare l’influenza americana.
Il crescente livello di cooperazione tra Cina e Russia ha ridotto Putin al rango di vassallo di Xi Jinping, ma su una cosa i due leader sono sullo stesso piano, ed è la ferrea volontà di destabilizzare l’attuale ordine mondiale a trazione americana (…)
Siamo entrati, dunque, nella fase finale dell’impero americano. È vero, è una realtà (…). L’America è ancora forte e continuerà a essere la potenza predominante a livello globale per altri due o tre decenni almeno. Ma l’orizzonte della storia si intravede già.
L’impero americano non morirà in silenzio, non impallidirà pian piano fino a svanire. Non sarà un lento spegnersi con un ultimo rantolo nella notte (…).
Il futuro che ci aspetta quindi non è facile da tratteggiare; non è un mondo bipolare, e non è neppure un mondo multipolare contrassegnato da blocchi di potere definiti in modo chiaro (…).
(Gestire un impero) è una cosa in cui noi americani non siamo mai stati troppo bravi. Ma ciò che ci aspetta potrebbe essere molto peggio rispetto a quell’impero ingenuo e malgestito che abbiamo conosciuto negli ultimi ottant’anni. Almeno metà dell’America si sta ibernando in un isolazionismo primitivo e ignorante… Game over, quindi? Non ancora. Ma manca poco.»
Alan Friedman, La fine dell’impero americano.