«Una cosa comunque è certa: l’uomo non è il problema più vecchio o più costante postosi al sapere umano. Prendendo una cronologia relativamente breve e una circoscrizione geografica ristretta – la cultura europea dal XVI secolo in poi – possiamo essere certi che l’uomo vi costituisce un’invenzione recente. Non è intorno ad esso e ai suoi segreti che, a lungo, oscuramente, il sapere ha vagato. Di fatto, fra tutte le mutazioni che alterarono il sapere delle cose e del loro ordine, il sapere delle identità, delle differenze, dei caratteri, delle equivalenze, delle parole – in breve in mezzo a tutti gli episodi di questa profonda storia del Medesimo – uno solo, quello che prese inizio un secolo e mezzo fa e che forse sta chiudendosi, lasciò apparire la figura dell’uomo. Non si trattò della liberazione d’una vecchia inquietudine, del passaggio alla coscienza luminosa d’un’ansia millenaria, dell’accesso all’oggettività di ciò che a lungo era rimasto preso in fedi o filosofie: fu l’effetto d’un cambiamento nelle disposizioni fondamentali del sapere. L’uomo è un’invenzione di cui l’archeologia del nostro pensiero mostra agevolmente la data recente. E forse la fine prossima. Se tali disposizioni dovessero sparire come sono apparse, se, a seguito di qualche evento di cui possiamo tutt’al più presentire la possibilità ma di cui non conosciamo per ora né la forma né la promessa, precipitassero, come al volgersi del XVIII secolo accadde per il suolo del pensiero classico, possiamo senz’altro scommettere che l’uomo sarebbe cancellato, come sull’orlo del mare un volto di sabbia.»
Michel Foucault, Le parole e le cose.